Il pubblico di un concerto dei Litfiba a Locarno (foto LaPresse)

Perché i punk amano Vivaldi

Redazione
Una ricerca ha mostrato perché preferiamo certi generi musicali ad altri, e ha scoperto affinità interessanti con il funzionamento del nostro cervello. Spotify e Apple Music prendono nota

Per tutta la seconda metà del Ventesimo secolo, e in parte ancora oggi, per un certo periodo della vita di una persona la sua personalità era determinata dalla musica che ascoltava. La cultura giovanile ha sempre deciso comportamenti, modi di vestire, slang e perfino ideologia politica in base alla musica, dal punk allo sfortunato genere emo. Il motto era: dimmi che musica ascolti e ti dirò chi sei, come se fosse il genere a determinare la persona.

 

Ma una ricerca pubblicata mercoledì dall’Università di Cambridge, diretta dallo psicologo e sassofonista David Greenberg e ripresa da Abby Haglage sul Daily Beast racconta che il motto era sbagliato, che non bisogna partire dal genere, ma dall’individuo: dimmi chi sei e ti dirò che musica ascolti. La ricerca ha coinvolto 4.000 persone, a cui sono stati fatti ascoltare 50 brani musicali divisi per 26 generi e sottogeneri. Attraverso un sistema di questionari e interviste, Greenberg ha scoperto che è possibile collegare diversi caratteri, diverse personalità, a degli specifici generi musicali.

 

Due grandi sottogruppi: gli empatici, quelli che eccellono nell’abilità di “riconoscere e reagire ai pensieri e ai sentimenti degli altri”, e i “sistemizzatori”, quelli che nutrono “l’interesse nel comprendere le regole di sistemi come il tempo atmosferico, la musica, i motori delle automobili”. Gli empatici preferiscono musica “dolce, poco pretenziosa e contemporanea”, come l’R&B, il soft rock, il country, il folk, l’elettronica. Non gradiscono al contrario stili più estremi come l’heavy metal e il punk rock. Il gruppo dei sistemizzatori fa il contrario: odia la musica dolce e preferisce quella più estrema.

 

I brani musicali fatti ascoltare ai soggetti coinvolti nella ricerca erano divisi in varie categorie, e Greenberg ha notato che le canzoni più apprezzate dagli empatici sono poco energiche, esprimono emozioni negative e cercano di essere profonde a livello emozionale, poetiche o rilassanti. I brani preferiti dagli empatici sono stati “Hallelujah” di Jeff Buckley, “All of Me” di Billie Holliday, “Crazy Little Thing Called Love” dei Queen. I sistematizzatori preferiscono canzoni energiche, che trasmettono emozioni positive e che abbiano un alto grado di complessità, come “God Save the Queen” dei Sex Pistol, il “Concerto in do maggiore” di Vivaldi, “Enter Sandman” dei Metallica.

 

[**Video_box_2**]Il fatto che la musica che ascoltiamo sia un riflesso di come funziona il nostro cervello è piuttosto interessante per gli imprenditori del settore. Per dei servizi di streaming come Spotify o Apple Music, che fanno della personalizzazione delle playlist un business in cui investire milioni in tecnici e algoritmi, sapere che una persona appartiene al gruppo degli empatici o a quello dei sistematizzatori potrebbe essere un’informazione essenziale. Finora gli algoritmi per confezionare playlist e proporre nuova musica si sono basati sugli ascolti precedenti: a chi ascolta un certo genere sono offerte più canzoni simili, e dalle variazioni delle scelte dell’utente l’algoritmo nuove informazioni sui suoi gusti. Ma se il sistema inizia a basarsi sulla personalità, sullo “stile di pensiero” di ciascuno, come dice Greenberg al Daily Beast, allora le raccomandazioni e le playlist possono andare più in profondità, essere sì più precise, ma anche giovare alla varietà degli ascolti. Se i risultati della ricerca sono giusti, un sistematizzatore che ha ascoltato il punk per tutta la vita, per esempio, potrebbe scoprirsi un grande appassionato dei concerti di Vivaldi.

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