Sir Tim Hunt (foto LaPresse)

Lo scalpo di Hunt

Giulio Meotti
Un tweet e l’accusa di sessismo distruggono un genio. Il College di Londra caccia il Nobel ma accoglie i jihadisti - di Giulio Meotti

Roma. Una caccia alle streghe condotta da streghe. “Intellect Betrayed”, commenta il Times di Londra in un editoriale non firmato. Due giorni fa, a porte chiuse, il Consiglio direttivo della University College di Londra si è riunito per la prima volta da quando ha cacciato l’abietto, il Professor Sir Tim Hunt. Un grandissimo Premio Nobel della Medicina letteralmente annientato per aver osato fare una battuta sulle colleghe in laboratorio durante una conferenza a Seul (“ti innamori di loro, si innamorano di te e quando le critichi piangono”). Dopo essersi degnati di parlare a Hunt dopo un mese dallo scandalo, il college londinese ha fatto sapere che le dimissioni sono state accettate “in buona fede” e che la sua reintegrazione sarebbe stata “inappropriata”. Dunque che l’immondo immorale resti fuori dall’accademia.

 

Intanto Jonathan Dimbleby, star dei media inglesi e membro onorario dell’Ucl, ha rassegnato le dimissioni perché la sua università ha violato il principio fondamentale della libertà di parola di Hunt. E il Times attacca: “Il tradimento è inconcepibile. Una delle principali università del paese si rifiuta di ammettere il proprio errore per paura di offendere coloro che rimangono ciechi sul vero ‘reato’ di Sir Tim. Forse temono anche l’imbarazzo di dover chiedere scusa”. Da domani, allo University College London, il professor Hunt non potrà più mettere piede, mentre i capi del jihad e dell’odio islamico, gli imam che predicano la distruzione di Westminster, saranno sempre liberi di predicare e di fare il lavaggio del cervello agli studenti.

 

Era stata Dorothy Bishop, docente di neuropsicologia a Oxford, a lanciare l’anatema e a chiedere di bandire Hunt da qualunque commissione che potesse prendere decisioni universitarie. Genetiste, fisiche, microbiologhe si erano fatte fotografare con addosso i camici d’ordinanza, scherzando su quanto fosse difficile non essere sexy facendo il proprio lavoro di scienziate. “Mi hanno trasformato in un maiale sessista”, ha detto Hunt. In una intervista al Guardian, i coniugi Hunt raccontano cosa significa essere liquidati come nemici del popolo. “Hanno praticamente fatto fuori la carriera del premio Nobel” scrive il giornale della sinistra londinese. “Il suo trattamento dimostra anche la crudeltà innata dei social media, e in particolare il potere selvaggio di Twitter”. E’ a pezzi anche sua moglie, la professoressa Mary Collins. Una o due giornaliste presenti alla conferenza a Seul iniziarono a twittare quello che Hunt aveva detto e nel giro di poche ore si era ritrovato al centro di una particolarmente feroce campagna di social media. Un tweet chiedeva che la Royal Society lo prendesse a calci. E così è stato. Hunt è stato anche cacciato dalla Royal Society.

 

[**Video_box_2**]Anche il Consiglio europeo della ricerca, nel cui comitato scientifico sedeva Hunt - ha deciso di costringerlo alle dimissioni. Proprio lo scienziato che aveva rinunciato a lavorare nel suo laboratorio per promuovere la “scienza europea”. Nel giro di due giorni, la pressione era diventata disperata per entrambi gli scienziati. “Tim si è seduto sul divano e ha cominciato a piangere”, ha raccontato Collins. “Poi ho iniziato a piangere anche io”. Hunt non si fa illusioni. “Sono finito”, ha detto. “Speravo di fare molto di più per contribuire a promuovere la scienza in questo paese e in Europa, ma non riesco a vedere come questo possa accadere. Sono diventato tossico”. Gli hanno preso lo scalpo. Grandioso il commento del New York Observer, contro “la ‘polizia della misoginia’ aggravata da un giornalismo sciatto e di parte”. Uno scienziato di fama mondiale, il vincitore di un Nobel, ha assistito inerme alla distruzione della propria carriera a causa di alcuni tweet. La parola magica? “Maschilismo”. Niente opinioni personali. Niente umorismo. L’accusa di sessismo, fondata o meno, da oggi ha il potere di distruggere qualsiasi cosa, anche la reputazione di un benefattore dell’umanità.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.