Nicola Lagioia con la moglie alla premizione del Premio Strega 2015 (foto LaPresse)

“La Ferocia” stentata di Lagioia si aggiudica lo Strega, il Premio svalutato e immutabile

Joseph Sorcier
La Ferrante tocca le corde giuste con Napoli e la camorra mentre Marco Santagata rispolvera un Dante buono per Amici della De Filippi. Qualche idea per rilanciare la kermesse ripiegata su se stessa.

Mentre la crisi greca si sta avviando alla conclusione, sta per scoppiare una crisi molto più devastante: lo Stregxit. Infatti, malgrado i piccoli mutamenti introdotti, i tre voti invece di uno, le novità di facciata come il voto elettronico, la rinuncia di Marzullo al cravattone, lo Strega non è cambiato per nulla e l’Europa sembra essersi definitivamente stancata di un premio che potrebbe inserirsi senza sfigurare nelle cerimonie tribali delle paludi di Haiti.

 

Al tempo stesso però sarebbe difficile anche per l’Ue svalutare un premio già così svalutato. Si potrebbe tentare di rovesciare la situazione passando la presidenza del premio da Tullio de Mauro a Barbara Spinelli, che sicuramente una poltrona in più non la rifiuta.

 

C’è stato un momento di sollievo quando il ministro ha rilasciato la sospirata dichiarazione: “Lo Strega ha sempre un alone di critiche e misteri, ma è una competizione vera. Credo che, comunque vada la questione della fusione, la competizione rimarraà autentica.” Ecco un uomo che sa guardare nel futuro senza pregiudizi e forse, chissà, lo Strega non si dimenticherà di lui.

 

Oppure fare un passo indietro, appellarsi all’Onu e all’Unesco e chiedere che venga assicurata la sopravvivenza del premio come riserva culturale. Non ci sono le riserve indiane negli Stati Uniti? E in effetti la comparsa di Concita de Gregorio sembra un ulteriore segno di questo commovente ripiegamento su se stesso di un premio veltroniano per eccellenza. Concita, si sa, la si chiama all’ultimo, quando c’è bisogno di affondare un giornale o una trasmissione televisiva. Tanto poi c’è sempre qualcuno che, dopo averci tenuto col fiato sospeso, tira fuori una legge ad Concitam e non dobbiamo più preoccuparci per lei.

 

A proposito, ma perché nessuno finora ha pensato a candidarla? I suoi libri, prova innegabile dell’assoluta continuità tra l’antica e la nuova Einaudi, sbancano in libreria molto più di quelli del malinconico Lagioia. Ma forse non è ancora il momento di dare il colpo di grazia allo Strega e Concita può attendere.

 

Ci si chiedeva come avrebbe fatto la povera comica, ingaggiata per animare, come in un villaggio vacanze, la scena di Valle Giulia, dove la concorrenza è feroce quanto involontaria. Invece no, braccia rubate alla fiera del caciocavallo!

 

A proposito, il libro di Lagioia, “La ferocia”, Einaudi, è deliziosamente stentato, tirato per le lunghe ed esemplarmente povero di contenuti. D’altronde perché largheggiare in un momento di crisi economica? E come non apprezzare il senso della misura con cui Lagioia a tratti lascia cadere qualche cesellato riferimento all’indifferenza della natura ai tormenti dell’umanità? Le zanzare del ninfeo sono una conferma evidente del suo ragionamento. Inoltre c’è il lato umano. Lagioia esce da una prova difficile. Quando ha esordito nel 2001 con Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (minimum fax) molti credevano che non ci sarebbe riuscito e invece “La ferocia” è la prova provata che ci avrà messo quattordici anni, ma non c’è la minima traccia di Tolstoj nelle sue pagine. Anche se l’unica ferocia è quella di infliggerlo agli incauti lettori che comprano speranzosi i libri dei premi più o meno letterari. Ma siamo e resteremo buonisti forever, almeno per bilanciare.

 

La Ferrante…? Ma perché l’hanno messa in gara, perché vogliono mandare a gambe all’aria uno dei pochi matrimoni rimasti in piedi? Va a finire che l’anno dopo bisogna premiare il marito romanziere per calmare la situazione familiare… Molti sostengono che la Ferrante è mediocre. E allora? Questo non le vieta di essere, suo malgrado, al di sopra degli altri concorrenti. E poi parla di Napoli e di camorra, un argomento caro al pubblico italiano dopo l’avvento del virtuoso Saviano.

 

Un discorso a parte merita Marco Santagata, il Dante Stregato che dopo una ponderosa biografia di Dante, che nessuno ha letto e quindi tutti apprezzano, ha giustamente deciso che di Dante non si butta via niente e si è dato da fare con Beatrice. Risultato? “Il sommo poeta in tutta la sua umanità: lacerato dall’amore, tormentato dall’ambizione, ardentemente contemporaneo”. Tanto per capirci, non il Dante ingrugnato del liceo, ma un personaggio intensamente moderno che potrebbe non sfigurare da “Amici” accanto a Maria de Filippi.

 

Chi si è misurato con “Chi manda le onde” (Mondadori) di Fabio Genovesi, non si è più ripreso: uno tsunami di personaggi solo apparentemente banali e abboracciati. È proprio un romanzo “che scava dentro esistenze minime e laterali per trovarci un disegno: spesso lo chiamiamo "caso", ma la sua magia è così scintillante che per non vederla bisogna proprio tenere gli occhi stretti”. Vi pare poco? Bisogna anche tenere conto di un fatto: Genovesi ha già vinto il premio Strega giovani e quindi, se vogliamo svecchiare il premio… Ma perché quest’ossessione della vecchiaia. Qualcuno ha proposto un lifting alla Merkel?

 

[**Video_box_2**]“La sposa”, Bompiani, di Mauro Covacich, è “un unico flusso di pensieri sul presente, lo stesso che da molti anni caratterizza la scrittura di Mauro Covacich”. Un esempio di coerenza per la nuova generazione di smidollati che passa da una posa all’altra. “Diciassette storie colme di bruciante amore per la vita, scaturite dai recessi di una normalità spesso, a ben vedere, fenomenale”. Un nutriente minestrone primordiale, perfetto perché in tempo di crisi non si butta via niente.

 

Era una scelta difficile perché, anche se a leggerli i candidati potevano sembrare provinciali, in realtà quasi tutti sono stati tradotti in almeno dieci paesi e sicuramente altri dieci li stanno traducendo. Certo non è facile entrare nella mente della Merkel: cosa dovremmo fare per compiacerla? Tagliare tre quarti del libro di Lagioia e riscrivere quel poco che resta? Tentare di solidificare il flusso d’incoscienza di Covacich con una ciocca dei capelli tinteggiati di Marzullo? Attualizzare ancora di più il Dante di Santagata, trasformandolo in un writer fiorentino? O risparmiare decisamente togliendo alla Ferrante anche il suo pseudonimo? Ma poi che ci rimane? Il premio Strega Giovani, trionfo dei non lettori? L’aureola bionda di Concita che sembra avere lo stesso parrucchiere della Mussolini e la stessa guardarobiera della Carrà? Il Premio Strega internazionale, con l’infamante sospetto che sia anche solo in minima parte meritato? Ma non importa, tanto quella Katja dal cognome impronunciabile ce la siamo già dimenticata.

 

Un’irresponsabile, uno di quelli che tanto peggio tanto meglio lancia l’idea di trasformare lo Strega in un premio per autori anonimi. Chi vince dovrà salire sul podio con un burka con un’apertura all’altezza della bocca che gli consenta di tracannare l’amaro liquore Strega, prima di scomparire per sempre. Ma, se vogliamo davvero rilanciare l’economia, il premio lo deve prendere direttamente l’editore, Mondazzoli per esempio che sta per rendersi responsabile delle trovate creative dei concorrenti del prossimo anno. E i piccoli editori, che ultimamente sembrano fare a gara con i, anzi con il grande per pubblicare opere stregabili? Prima o poi saranno mondazzolizzati anche loro. È l’unica garanzia. Bisogna che tutto cambi perché niente cambi e il premio Strega è il garante dell’immutabilità e guai a chi ce lo tocca. Chi lo critica è come quei giapponesi che scherzano sul fatto che il Foro Romano è pieno di costruzioni non finite. Una rovina è una rovina e non a caso il Premio si svolge nella sede del museo etrusco e come diceva il titolo di un classico della cinematografia italiana: “L’etrusco uccide ancora!”.