Una scena di "Fight club", di Chuck Palahniuk

Riguardare "Fight Club" (aspettando "Fight club 2") per capire l'ecoradicalismo straccione

Roberto Procaccini
Nel 1995, vent’anni fa esatti, arriva nelle sale cinematografiche “L’esercito delle 12 scimmie” di Terry Gilliam. Nello stesso anno un oscuro romanziere statunitense, Chuck Palahniuk, ultima “Fight Club”, opera che sarebbe uscita l’anno successivo in libreria per poi diventare nel 1999 un film cult.

Nel 1995, vent’anni fa esatti, arriva nelle sale cinematografiche “L’esercito delle 12 scimmie” di Terry Gilliam. Nello stesso anno un oscuro romanziere statunitense, Chuck Palahniuk, ultima “Fight Club”, opera che sarebbe uscita l’anno successivo in libreria per poi diventare nel 1999 un film cult. I due lavori non hanno molto in comune (oltre alla presenza di Brad Pitt nei rispettivi cast), ma sono uniti da un filo conduttore: l’ecoterrorismo. Ne “L’esercito delle 12 scimmie”, fantascientifico e cyberpunk, l’umanità è ridotta a vivere in cavità sotterranee perché la superficie terrestre è contaminata da un virus letale. Per l’intera durata della pellicola lo spettatore pensa che responsabile dell’apocalisse biologica sia un gruppo animalista radicale. In “Fight Club” il pensiero di Tyler Durden, leader del progetto antagonista Operazione Caos, è permeato di primitivismo: la società che ha in mente è quella in cui l’uomo rinuncia alla modernità e “si muove con gli alci, tra le umide foreste dei canyon intorno alle rovine del Rockefeller Center”.

 

Non è un caso che le due opere escano alla metà degli anni 90. E’ allora che il pensiero ecoradicale, quello che contrappone uomo a Natura e si spende nella difesa della seconda dal primo, raggiunge la sua massima maturità. E’ allora che le formazioni che si battono (letteralmente) per la tutela dell’ambiente sembrano le vere eredi del terrorismo ideologico novecentesco.

 

Partiamo dagli attori che si muovono sulla scena teoretica. Paul J. Crutzen, premio Nobel nel 1995 per i suoi lavori su chimica atmosferica e buco dell’ozono, parla di “Antropocene”: con la rivoluzione industriale, il succo della teoria, l’impatto della civiltà umana sull’ambiente compie un tale salto di qualità da rappresentare una nuova era geologica. Dalla fine degli anni 70 il chimico britannico James Lovelock definisce il concetto (insieme “religioso oltre che scientifico”) di “Gaia”, ovvero di un pianeta Terra visto come un superorganismo capace di prosperare se garantito nei suoi equilibri (cioè senza interferenze dell’uomo). Il sociobiologo Edward Wilson nei suoi lavori divarica sempre di più la Natura, portatrice di valori positivi, e l’Uomo, che con la tecnologia la tradisce. Il filosofo norvegese Arne Næss è invece il padre dell’“ecologia profonda”, la quale, nelle parole del suo primo ideologo, “respinge come insipiente arroganza quel principio d’Occidente che recita che l’uomo è misura di tutte le cose”. Se nell’ecosistema tutti gli esseri viventi hanno stessi diritti e stessa dignità, è la summa della deep ecology, una persona non vale più di un batterio, e la società deve trarne le conseguenze. Possibilmente regredendo.

 

A tanta produzione letteraria s’accompagna l’attivismo di sigle antagoniste che hanno radici negli anni 70, ma che prendono la scena nel decennio successivo. Earth First!, Band of Mercy, Animal Rights Militia, Sea Shepherds, ecco una veloce carrellata delle principali formazioni che si muovono tra Europa, Nord America e Giappone applicando gli stessi metodi: danneggiamenti a imprese e laboratori scientifici, atti ostili verso le multinazionali (specie se impegnate nel settore energetico o alimentare), azioni di sabotaggio verso le nuove infrastrutture. L’Italia non ne è immune: tra il 1987 e il 1989 si consumano circa 40 attentati contro strutture dell’Enel, mentre nel 1996 in Valdisusa con le prime molotov contro i cantieri della Torino-Lione si inaugura la stagione NoTav. E’ uno scenario dove ci si concentra contro gli oggetti, ma non si esclude di colpire gli uomini: la tecnica del “tree spiking” (infilare chiodi nei tronchi degli alberi per impedirne l’abbattimento) contempla la possibilità che il boscaiolo armato di motosega incorra in incidenti anche mortali. Nel 1991 l’Animal Liberation Front diffonde un documento dal titolo inequivocabile: “Una dichiarazione di guerra: uccidere uomini per salvare animali e natura”.

 

Torniamo a “L’esercito delle 12 scimmie” e a “Fight Club”. Gli autori, immersi nella società degli anni 90, si guardano intorno e portano alle estreme conseguenze (ma con logica lineare) quello che i militanti per la Natura dicono di voler fare. L’obiettivo è il regresso industriale e tecnologico? Bene, allora gli artisti delineano le sembianze di un consorzio umano che ha fatto il grande passo indietro, accettandone le conseguenze.

 

[**Video_box_2**]Gilliam e Palahniuk non potevano sapere che in questi venti anni sarebbero però cambiate le carte in tavola. Da un lato le organizzazioni para-terroristiche sono assorbite nel Popolo di Seattle (1999), cioè nel movimento No Global, che ne condivide le istanze essenzialmente anticapitalistiche e che ha fatto delle questioni ambientali non più la propria ragione sociale, ma il filo conduttore di tutte le mobilitazioni. Dall’altro, sull’onda d’urto emotiva di Chernobyl e grazie ad associazioni “borghesi” (Wwf, in Italia Legambiente, in maniera borderline Greenpeace), certi temi sono digeriti anche dal grande pubblico. Gli 80-90 sono il ventennio dei partiti Verdi, che portano la sensibilità dell’ecologia profonda nei Parlamenti senza essere sovversivi, mentre le stesse idee mettono radici anche in partiti conservatori.

 

L’ecoradicalismo da subcultura diventa cultura, neanche tanto contro. Per farlo, però, perde in coerenza e si trasforma in una scuola di pensiero ipocrita, per non dire paracula. Rimane nell’opinione pubblica la lotta (ideologica o materiale) allo “sfruttamento dell’ambiente”, ma si oblitera l’idea che l’involuzione tecnologica comporta rinunce nella quotidianità. Lo spiega alla perfezione Chicco Testa, già presidente di Legambiente, nel suo “Contro (la) Natura”: sono tanti quelli che vanno in solluchero per l’agricoltura bio, ad esempio, senza comprendere che è l’industrializzazione delle coltivazioni a sfamare il mondo. E senza neanche capire, per di più, che i vigneti toscani non sono “natura”, ma opera dell’uomo.

 

A fine maggio esce negli Stati Uniti “Fight Club 2” di Palahniuk, sequel del fortunato romanzo di due decadi fa. Da quel che si conosce della trama, il primitivismo non è più centrale, ma questa volta il modus operandi di Tyler Durden è ispirata a organizzazioni come Isis e Al Qaeda. Non poteva essere altrimenti: la narrativa è figlia dei tempi.

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