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Venezia è solo una remota periferia di Roma

Carlo Lottieri

Tra gli abitanti della città il dibattito sulle grandi navi è chiuso da tempo. Peccato che la decisione ultima sulla loro gestione non spetti ai veneziani o al comune o alla Regione Veneto, ma al ministero dei Trasporti

L’incidente di domenica a Venezia può essere letto in vari modi. A giudizio di molti c’è da ringraziare il Cielo, dal momento che la presenza in laguna di quei palazzi d’acciaio galleggianti doveva, prima o poi, portare a una situazione pericolosa quale quella che s’è verificata. Da anni in città è attivo un movimento ambientalista che s’oppone alle grandi imbarcazioni da crociera e mette sotto processo anche l’incapacità della politica a prendere decisioni.

L’avversione alle grandi navi da crociera muove da tante ragioni. Essa può essere intesa a partire dalla necessità di rispettare l’equilibrio di Venezia (i suoi fondali e la sua sicurezza, in primo luogo) oppure come la manifestazione di una cultura che rigetta la modernità, le logiche imprenditoriali, il turismo come business. C’è anche una (discutibile) opzione estetica: l’idea, insomma, che il profilo di quelle imbarcazioni accostate ai monumenti veneziani – basti pensare alle celebri fotografie di Berengo Gardin – comporti un qualche “inquinamento visivo”.

 

Bisogna comunque prendere atto che tra gli abitanti di Venezia il dibattito è sostanzialmente chiuso da tempo. Quanti vivono sulle isole (e sono sempre meno: neppure 60 mila persone) sono in larga maggioranza giunti alla conclusione che le enormi navi da crociera non dovrebbero più avvicinarsi a piazza san Marco e attraversare il canale della Giudecca. I residenti ritengono che ogni soluzione che scarichi quei turisti a Marghera o in qualsiasi altra parte della laguna sia preferibile: non per chiudere del tutto la porta al turismo “mordi e fuggi” dei crocieristi, ma per limitarne la presenza ed contenerne la presenza almeno nel cuore della Serenissima.

Giusto o sbagliato che sia, a Venezia non c’è più alcuna discussione sul tema. Il guaio è che Venezia non conta nulla, dato che è soltanto una periferia governata da lontano. Può apparire assurdo, ma la decisione su come gestire l’afflusso delle grandi navi non è di competenza dei veneziani, del municipio cittadino e neppure della Regione Veneto. L’ultima parola spetta al ministero dei Trasporti, che di questi tempi deve al tempo stesso gestire il disastro di Alitalia, il rifacimento del ponte Morandi di Genova, la cronica inadeguatezza di larga parte delle infrastrutture viarie del Mezzogiorno, la Tav Torino – Lione e via dicendo.

 

Roma è ingolfata e arranca, mentre Venezia è impotente: vorrebbe risolvere il problema, ma non può. Perché è del tutto evidente che l’imbarcazione da crociera che ha investito un battello turistico a San Basilio non sarebbe stata lì se i veneziani, anche sbagliando, potessero prendersi cura della loro città. Oggi non è così.

Ormai abitata da meno di 60 mila persone e un numero indefinito di turisti, Venezia deve ogni giorno fare i conti con autorità e poteri lontani: basti pensare alla massiccia presenza (difficilmente giustificabile) della marina militare, che sottrae a ogni forma di valorizzazione l’intera area dell’Arsenale e non solo quella. E poi si dovrebbe anche parlare della Sovrintendenza, che ostacola ogni compravendita, e di tutta una serie di altre norme nazionali che di tutta evidenza mal si adattano a una città – per tanti aspetti unica – quale è Venezia.

 

Nella laguna comandano poteri “romani” e quando non è lo Stato a imporre le proprie logiche la città deve comunque fare i conti con una realtà municipale abnorme. Il comune che ha nome “Venezia” conta circa 260 mila abitanti, ma solo meno di 60 mila stanno davvero a Venezia. Da decenni la Serenissima si sta svuotando e questo vuol dire che essa è amministrata da chi vive a Mestre e a Marghera.

Molte delle considerazioni sviluppate a seguito dei fatti di domenica hanno un loro rilievo: quelle di chi vuol allontanare le navi di crociera per tutelare un formidabile museo all’aria aperta; quelle di vuole tutelare i posti di lavoro collegati al turismo; quelle di chi intende porre un freno all’invasione di visitatori “mordi e fuggi”; quelle di chi pensa che Venezia non debba comunque rigettare la modernità; quelle di chi cerca di preservare un equilibrio tra Venezia (che è l’artificio all’ennesima potenza) e la natura (con cui comunque la città deve fare i conti).

 

Sul piano istituzionale, però, la questione cruciale è che un luogo unico al mondo per storia e bellezza soffre da tanti punti di vista in ragione del fatto che quanti lo vivono e lo posseggono sono costantemente intralciati da poteri indifferenti, distratti, remoti.

La colpa di quanto è avvenuto non è allora da addossare al ministro Danilo Toninelli e nemmeno ai ministri che l’hanno preceduto, anche se fin dal 2012 l’amministrazione locale aveva individuato una soluzione per liberare il bacino di san Marco. La responsabilità prima è da addebitare a un ordine istituzionale che sembra fatto per espropriare, imbrigliare, uniformare, bloccare. Ma Venezia potrà iniziare a rinascere soltanto se tornerà a governarsi da sé.

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