Putin rivolge un discorso durante i festeggiamenti per il quarto anniversario dell'annessione della Crimea (foto LaPresse)

Ecco dove va la macchina perfetta del Putin IV che non ha più bisogno di bluff

Anna Zafesova

Per quanto scontate, le elezioni segnano una svolta: addio alla “democrazia governata”. L’occidente è più che avvisato

Milano. La prima domanda fatta dai giornalisti a Vladimir Putin dopo la sua vittoria alle presidenziali è stata sulla sua ricandidatura nel 2024, e nel 2030. Una lungimiranza forse esagerata, considerato che gli restano ancora sei anni al Cremlino, che però tecnicamente dovrebbero essere gli ultimi. Delle quattro elezioni di Putin questa è stata la più perfetta e indolore: 50 milioni di russi che hanno votato per lui, il 76 per cento, con il 67 per cento di affluenza, il risultato più schiacciante mai ottenuto, con gli altri concorrenti ridotti a numeri infinitesimali, in una campagna elettorale assente. Il Putin IV ha costruito una macchina perfetta, che risponde a tutti i suoi comandi: ormai non solo il vincitore si conosce con sei anni di anticipo, ma ottiene anche il risultato che si è prefissato. Il “70 per cento su 70 per cento” era l’obiettivo dichiarato del Cremlino e un sistema statale capillare, che arriva fino all’ultimo preside, assessore e pope, l’ha prodotto. L’unico concorrente vero, Alexei Navalny, è stato escluso dalle elezioni, e si può dare ragione al presidente della Duma Vjacheslav Volodin, che già anni fa disse che “senza Putin non ci poteva essere la Russia”. Lo stato è lui.

 

Per quanto scontate, le elezioni segnano una svolta. Il Putin del 2012 era un leader che voleva essere stimato dall’occidente, che reclamava una poltrona più comoda ai tavoli internazionali, e si proponeva più come soluzione che come problema. Il Putin del 2018 non ha più problemi a non far parte del G8, e a ricevere le prime congratulazioni dal venezuelano Maduro. Le teorie sulla “democrazia governata” sono state accantonate, il sistema russo oggi è molto più simile ai khanati postsovietici dell’Asia centrale, dove si lascia il trono solo alla morte, che alla “democrazia illiberale” dell’ungherese Orbán. (Zafesova segue nell’inserto IV) L’occidente ha perso il principale deterrente nei confronti di Mosca, che non teme più di essere giudicata, condannata, sanzionata e isolata. Il rapporto del Cremlino con il mondo ormai è quello che si è visto nel caso Skripal, e i collaboratori di Putin non scherzano a dire che chi gli ha portato più voti è stata Theresa May. Venuti meno la ricchezza petrolifera, e lo spavento per il caos postcomunista, quello che porta più voti a Putin è lo scontro con il resto del mondo, e quello che poteva imbarazzarlo, come l’annessione di una penisola o una spia avvelenata insieme ad altri 20 inglesi, oggi lo rende più forte. Per la controparte occidentale, a questo punto, attaccarlo significa fare il suo gioco (oltre che usare il nuovo “arrivano i russi” per battaglie politiche interne), un po’ come nel rapporto perverso che per 20 anni ha legato la sinistra e Berlusconi, con ciascuno che offriva una ragione di esistere all’altro. Questo nuovo stato delle cose influirà anche sull’altra domanda del Putin IV.

 

A Mosca circolano progetti che vanno da una soluzione “iraniana”, con lo spostamento del centro del potere a un Consiglio di stato non eleggibile, alla scelta di un nuovo “delfino”, con una transizione progressiva verso una nuova generazione, ma le remore a riscrivere la Costituzione per uno zar eterno non hanno più fondamento: non c’è bisogno di piacere ai nemici, e l’indifferenza quando non il plauso dei media internazionali all’eliminazione del limite di mandato per Xi Jinping indica la soluzione del problema del Putin V. La macchina del potere è solida come non mai, e un cambiamento per via elettorale, come sperava Navalny, non appare fattibile. Un regime del genere implode per una crisi, come nelle primavere arabe, oppure cambia dall’interno, come la perestroika di Gorbaciov. La domanda a questo punto è quanto l’élite moscovita e i giovani russi saranno disposti a sorbirsi per altri 6-12-18 anni un sistema sempre più inamovibile, e quanto un occidente invecchiato, e in preda alle pulsioni populiste, sarà in grado di offrire loro un modello alternativo.

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