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La svolta post-analogica dell'Istat

Alessandro Berrettoni

L’Istituto di statistica aggiorna il paniere dei prezzi: fuori lettori mp4, canone Rai e telefonia pubblica. Un mutamento sociologico certificato quasi fuori tempo massimo

Fuori il canone Rai e le cabine telefoniche, dentro il mango e il robot aspirapolvere. Sta tutta qui la filosofia del nuovo paniere Istat, che ogni anno aggiorna i prodotti di riferimento su cui misurare l’indice dei prezzi al consumo, base per calcolare l’inflazione, che nel frattempo a gennaio ha registrato un lieve calo, aumentando dello 0,2 a gennaio e dello 0,8 su base annua.

 

I cambiamenti introdotti nel paniere sono sia metodologici che di contenuto: fatto sta che ogni volta si scatena una lunga eco di dibattiti, polemiche, entusiasmi. Quest’anno la novità interessante è però l’uscita di tre “asset analogici”: il canone Rai, i lettori multimediali mp4 e la telefonia pubblica. Sono varie le ragioni per cui queste tipologie di prodotti non saranno più considerate nel paniere Istat, ma c’è un tratto comune, che rappresenta e configura un mutamento sociologico che nelle abitudini dei consumatori era già avvenuto da qualche anno, e che l’Istituto nazionale di statistica si limita a certificare. E’ come se l’Istat si fosse accorta che l’analogico non esiste più. Un’evidenza, che però rende curioso l’aggiornamento del paniere del 2018: si tratta dell’evoluzione di “norme e classificazioni e in alcuni casi arricchisce la gamma dei prodotti che rappresentano consumi consolidati”, spiega l’Istat nel suo comunicato. Consumi consolidati che non esistono più, evidentemente, sono la tv, l’ascolto di musica offline e fare telefonate da un apparecchio pubblico. 

 

Il nuovo paniere dei prezzi (infografica Istat)

 

Il canone ormai è inserito nella bolletta elettrica, per cui, spiega Istat, “viene assimilato a una tassa da pagare e non più legato all’acquisto di un servizio”. D’altro lato ormai il concetto stesso di consumo televisivo si è spostato su internet, e benché l’oggetto rimanga, la tv non è più un bene di consumo. O meglio, non lo è più come lo era una volta, ma di contro l’Istituto di Statistica non introduce, per esempio, l’abbonamento a Netflix. Un ritardo dimostrato anche dalla scelta di togliere solo adesso i lettori multimediali. L’industria discografica ha passato periodi tumultuosi fino all’arrivo dell’iPod: simbolo dei primi anni 2000, per contro aveva dato il la all’emergere della pirateria. Ma anche i lettori multimediali sono stati stabilmente superati dagli eventi, o meglio, dall’intervento di alcuni disgregatori del sistema, come Spotify. La vera transizione post-analogica è lo streaming, e l’Istat questo sembra finalmente averlo capito. Via anche la telefonia pubblica, che aveva ormai valori di spesa sostenuta dalle famiglie pressoché irrilevanti ed è stata totalmente rimpiazzata dal mobile, ormai da tempo. Per quanto riguarda la metodologia, il 2018 segna l’avvio delle rilevazioni con la scannerizzazione dei codici a barre dalle casse di ipermercati e supermercati.

 

Le abitudini di spesa cambiano e si evolvono. Così entrano avocado e mango, che vanno a  integrare il segmento di consumo della frutta esotica, insieme all’ananas (in rilevazione già da alcuni anni). La lavasciuga va invece ad ampliare la gamma di prodotti che “fanno risparmiare tempo alle famiglie nelle attività domestiche”. Sempre più tecnologici e digitali, i consumi si avvicinano alla vita reale. Tra residuati fossili che se ne vanno e gusti che cambiano, il paniere resta una fotografia di come cambiamo. O meglio, di come siamo cambiati, prima che l’Istat se ne accorgesse.