Foto LaPresse

Macerata, la provincia italiana e il nuovo pogrom

Manuel Orazi

Non c'è altro termine per definire chi spara a persone irriducibili al canone nazionale per vendicare torti subiti a livello individuale e con motivazioni economiche diverse ma analoghe di quelle dei tempi dello zar. Una lettera

Caro direttore,


le scrivo di domenica quando ancora si sentono girare gli elicotteri, dopo la settimana peggiore di sempre per la mia città, terremoto a parte. Macerata era già finita sui giornali e le radio francesi nel 2013 quando comparve una scritta davanti alla sede del Pd di via Spalato, “Kyenge torna in Congo”, la stessa sede colpita da un colpo di pistola di Luca Traini - i militanti locali hanno dichiarato che erano due anni circa che Traini passava davanti con l'auto insultandoli di tanto in tanto.

 

Nel 2016 poi c'è stata l'uccisione di Emmanuel Chidi Namdi da parte di Amedeo Mancini, un ultras della Fermana calcio con una testata, pugni e calci e dopo avergli urlato “scimmie africane”. Martedì 1 febbraio è stato ritrovato il corpo martoriato di una tossicodipendente romana, Pamela Mastropietro, per mano di uno spacciatore nigeriano senza permesso di soggiorno. Quindi sabato gli spari in giro per la città e le due ore abbondanti di terrore causate da Traini, maceratese doc, finite al monumento ai caduti del 1933 con statue inneggianti alla romanità (ah se Traini sapesse che l'architetto che lo progettò era massone prima che fascista...).

 

Piovono gli articoli dei quotidiani e media stranieri, che fanno del capoluogo marchigiano una città simbolo della xenofobia. A Macerata è arrivato domenica il ministro Marco Minniti, mentre il premier Paolo Gentiloni (il cui titolo araldico è conte di Filottrano, Cingoli e Macerata) ha telefonato alle autorità locali, entrambi sono candidati nelle Marche alle prossime elezioni. Minniti ha fatto una gaffe dicendo che non ci si fa giustizia da soli, ma quale giustizia Traini ha sparato a caso e non a Innocent Oseghale, lo spacciatore nigeriano. Maurizio Martina ha visitato la sede Pd colpita, Laura Boldrini è nata a Macerata ed è bersaglio fisso di tutte le destre possibili, c'è chi fa coming out (Enrico Mentana Mia mamma era di Macerata... Il sopruso sta anche nell'aver criminalizzato l'accoglienza”) e giornalisti di peso che la eleggono a mito, emblema e spia del malessere italiano che non ragiona di futuro, sviluppo, incivilimento ma torna indietro. Ecco Lucia Annunziata “Macerata è quel che siamo diventati?”, Antonio Polito “Macerata, Alabama”. Persino il presidente turco Erdogan dice la sua: “Un attacco razzista, non diverso da episodi di attacchi a moschee luoghi legati alla religione islamica”.

 

Su internet, i commenti ai siti locali cronachemaceratesi.it o al gruppo Facebook “Sei di Macerata se...” pubblicano decine di commenti giustificatori del gesto di Traini, ben più estremi della difesa di Forza Nuova. Ciò che più mi disgusta è l'argomento giustificazionista alla Gianfranco Funari “la ggente s'è tanto stufata” o il disagio sociale. Il fondo della questione però, non è tanto il razzismo o se può essere considerato o meno un attentato terroristico, Salvini mandante morale ecc. (Traini in realtà era devoto solo ai simboli fascisti, dal monumento ai caduti alla Corridonia dove si è candidato probabilmente in omaggio a Filippo Corridoni, già idolo del duce).

 

No, il punto è che a forza di spararle grosse un po' dappertutto, sui media e nei bar, in famiglia e al lavoro le parole diventano pietre un po' come ai tempi del brigatismo rosso, e il fatto che storicamente si tratta di una città rappresentativa di tutto il paese. Qui nel 2013 il M5S ha preso più voti che in tutte le altre regioni tranne che in Liguria dove vive Grillo. Stavolta però è diverso perché non c'è più quell'odio sociale, ma un odio in fondo nuovo e antico allo stesso tempo, sicuramente più irrazionale perché Macerata non è Bastogi-Boccea, per di più a 80 anni dalle leggi razziali.

 

Quello che più mi spaventa insomma non è la possibilità che quello di sabato fosse un atto terroristico alla Breivik, peraltro già denunciato profeticamente dal cantante punk-dadaista Vanni Fabbri, alias La tosse grassa di Recanati, (“sto costruendo una palizzata/per difendermi dai negri di Macerata/mi tengo in forma e stringo i denti/ogni mattina sessanta piegamenti/lavoro, non spendo, accumulo milioni/devo risparmiare per comprarmi le munizioni”), ma qualcosa di ancora peggiore: un pogrom. Non trovo un altro termine migliore per definire chi spara a persone irriducibili al canone nazionale per vendicare torti subiti a livello individuale e con motivazioni economiche diverse ma analoghe di quelle dei tempi dello zar (“ci rubano il lavoro, gli regalano tutto, è un disegno di Soros”). Ne sono spaventato, ma anche offeso perché sarebbe anche ora di sottrarre il tricolore nazionale alle fascisterie che nascondono solo miserie umane, frutto di analfabetismo e ritardo mentale ben riflessi dallo squallore della stanzetta di Tolentino in cui viveva il Traini, dormendo su un materasso poggiato per terra, non casualmente di fianco a un pitale di plastica.

 

Manuel Orazi

Di più su questi argomenti: