La manifestazione del 9 dicembre a Milano. Foto LaPresse/Claudio Furlan

L'antisemitismo che non si vuole vedere

Guido Salvini

Gli slogan di Milano sono un segnale di guerra ignorato dalle autorità

Leggo sul Foglio, nessuno lo sapeva o ha pensato di scriverne, cosa è successo il 9 dicembre scorso a Milano alla manifestazione palestinese e islamica – appoggiata da alcuni Centri sociali – dopo le dichiarazioni di Trump su Gerusalemme capitale d’Israele. In Piazza Cavour, in pieno centro città, nel triangolo tra il palazzo del Comune, la Questura e il Palazzo di Giustizia, i manifestanti hanno ritmato otto volte – credo che il numero abbia significato “rituale” – il grido “Khaybar Khaybar, l’armata di Maometto ritornerà!”, scandendo infine fragorosamente “Allahu Akbar”. Il richiamo è alla campagna finale dell’esercito di Maometto che fece pulizia etnica in Arabia di ogni insediamento ebraico, prima contro la tribù dei Banu Quaryza, definiti “fratelli di scimmie” – più di 600 prigionieri, alcuni per mano dello stesso Maometto, furono decapitati – e poi all’oasi di Khaybar, ove l’ultimo insediamento fu annientato e i suoi abitanti soggiogati e ridotti in schiavitù portando alla scomparsa dell’ebraismo nell’intera regione. Alla fine dell’assedio, ricordiamolo, Maometto fece torturare e decapitare davanti a sé uno dei capi degli ebrei e, tanto per non smentirsi, ne prese la vedova come preda bellica e schiava sessuale. Quello a Khaybar è un richiamo mitico e eccitante che simboleggia per i musulmani la prospettiva finale della completa eliminazione degli ebrei. Non è solo un ricordo storico ma uno slogan attuale perché è usato come grido di guerra da tutti i radicali islamici in medio oriente. Questi massacri sono del resto esaltati in una sura del Corano, proprio quella recitata nel video da al Zarqawi prima di sgozzare l’ebreo americano Nick Berg.

   

Inneggiare a Khaybar è più o meno come se qualcuno in Italia esaltasse in pubblico il rastrellamento degli ebrei del ghetto di Roma o le camere a gas o negli Stati Uniti la distruzione del villaggio indiano a Wounded Knee da parte delle giubbe blu, massacro che tutti abbiamo visto nei film degli anni Settanta.

   

Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha promesso che non saranno più tollerate le manifestazioni fasciste e “razziste” – quelle per intenderci con il saluto romano pur in assenza di inneggiamenti a stermini – e che qualsiasi gruppo che volesse usufruire di uno spazio pubblico a Milano dovrà sottoscrivere un “patentino” di antifascismo. Per i fatti di Piazza Cavour nessuno invece per ora ha protestato e non sembrano esserci indagini in corso, benché quella del Foglio sia una vera e propria denuncia di reato per violazione della legge Mancino e tramite i video pubblicati sul sito dello stesso quotidiano non dovrebbe essere poi tanto difficile identificare chi ha organizzato quell’incitamento al peggior razzismo.

  

Cosa ne pensa il sindaco? Chiederà un “patentino” anche alle associazioni musulmane potenzialmente razziste? E la Questura denuncerà qualcuno per incitamento all’odio razziale? Forse no. Forse le autorità cittadine si limiteranno a concludere che occuparsene, soprattutto in tempo di elezioni, non è politicamente conveniente. Meglio non aver sentito, meglio non sapere.

    

*Guido Salvini è un magistrato

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