Un treno deraglia a Seattle: colpa del liberismo. Fact-checking su Rampini

Secondo l'inviato di Repubblica, l'incidente ferroviario a sud di Seattle è conseguenza della "devastazione liberista". Ecco cosa non torna nella sua analisi

Luciano Capone

Roma. Il giorno dopo il disastro ferroviario dello stato di Washington, in cui almeno tre persone sono morte e un centinaio sono rimaste ferite, le autorità e i media americani sono ancora molto cauti sulle cause e sulle responsabilità dell’incidente. Ma i commentatori italiani, evidentemente più intuitivi degli americani, hanno già capito tutto. Pochi minuti dopo il deragliamento e mentre i soccorritori si davano da fare per estrarre i passeggeri dal treno precipitato da un ponte, Federico Rampini ha già capito tutto: è colpa del liberismo. “La causa è chiara – ha commentato su Repubblica – il trasporto pubblico è stato abbandonato, l’ideologia neoliberista lo ha penalizzato”. Ed è una cosa paradossale, spiega Rampini, perché gli Stati Uniti d’America sono diventati uniti solo quando nell’Ottocento fu costruita la grande ferrovia transcontinentale e fu un’impresa titanica”. Gli americani erano orgogliosi dei loro treni e delle loro infrastrutture, ma poi, con un balzo di cento anni, Rampini spiega che “è arrivata la rivoluzione conservatrice neoliberista” e Ronald Reagan ha iniziato a tagliare i fondi alle ferrovie statali provocando un declino inarrestabile: “Materiale ferroviario obsoleto, scadente, a rischio di incidenti, linee ferroviarie lentissime, non esiste una vera alta velocità”. Ma non si possono addossare tutte le colpe a Reagan, che ha finito di governare 30 anni fa, e infatti Rampini individua un altro responsabile nel presidente che amminstra da 11 mesi: “Nei suoi comizi Donald Trump aveva più volte cavalcato il tema della qualità delle infrastrutture, aveva promesso un maxi piano in investimenti in infrastruttura. Ma è una promessa elettorale di cui non v’è traccia” Insomma: quando c’era lo statalismo i treni arrivavano in orario, ma da quando è partita l’orgia neoliberista i treni non arrivano proprio, signora mia.

 

La spiegazione di quanto accaduto non è nuova. E infatti già quattro anni fa, subito dopo un incidente ferroviario nello stato di New York, Rampini aveva fatto le stesse identiche considerazioni: “Una cosa è certa, da utente di quella linea: sono treni vetusti, afflitti da anni di tagli ai bilanci dei trasporti pubblici – scriveva nel dicembre 2013 – Il settore pubblico nel suo insieme, e le infrastrutture di trasporto in generale, sono state abbandonate in decenni di neoliberismo selvaggio, che ha depauperato i bilanci dei servizi essenziali”.

 

La teoria ha un senso, ma il problema è che non coincide con nessuno dei fatti. Tanto per iniziare, il treno che è deragliato è di un’azienda statale sussidiata ogni anno con circa 1,4 miliardi di dollari. Inoltre in questo caso è anche falsa la spiegazione sulle infrastrutture vetuste a causa della scarsità di investimenti pubblici, perché in questo caso l’incidente è avvenuto durante il viaggio di inaugurazione di una nuova tratta ferroviaria ad alta velocità, una bretella costruita per aggirare un vecchio tracciato e accorciare i tempi di percorrenza sulla tratta Portland-Seattle. Ma un progetto fatto così male, che trasforma l’inaugurazione in una tragedia, sarà stato sicuramente deciso da un liberista repubblicano: se non è stato Reagan, sarà stato di sicuro un suo nipote! E invece no. Il “Point Defiance rail bypass”, così si chiama l’opera ferroviaria dove è avvenuto l’incidente , è un progetto voluto dallo stato di Washington (da vent’anni a guida democratica) costato la bellezza di 180 milioni di dollari, generosamente finanziati dall’amministrazione di Barack Obama con l’“American Recovery and Reinvestment Act” (Arra), che ha messo a disposizione per le nuove infrastrutture ferroviarie circa 800 milioni di dollari. In sintesi, la causa del disastro di Washington non può essere il “neoliberismo” repubblicano. Anzi, sembrerebbe vero l’esatto contrario: il treno di un’azienda statale deraglia il giorno dell’inaugurazione di una nuova costosa infrastruttura pubblica decisa e finanziata da governi democratici.

 

Ma se è così semplice piegare l’attualità alle proprie idee, figurarsi cosa si può fare con la storia. L’epoca della costruzione delle grandi linee ferroviarie che Rampini ricorda con nostalgia, quella di fine 800, è la cosiddetta “Gilded age”, un periodo di grande crescita economica ma dominato da pochi grandi gruppi industriali. in quel periodo il governo federale praticamente non esisteva. Non a caso la ferrovia Transcontinentale che ha unito la costa atlantica a quella pacifica, l’imponente opera citata da Rampini, fu costruita solo grazie agli investimenti di tre imprese private. All’epoca il sistema ferroviario di cui tutti gli americani erano orgogliosi era nelle mani di pochi monopolisti, di pionieri dell’industria americana come John Davison Rockefeller, Cornelius Vanderbilt, John Pierpont Morgan e Andrew Carnegie. Quella sì che era un’epoca di liberismo selvaggio. E in cui, come ammette lo stesso Rampini, le ferrovie venivano fatte bene.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali