Mattia Palazzi, sindaco di Mantova. Foto LaPresse

L'impossibilità di ribellarsi ai ruoli di vittima o carnefice

Annalena Benini

Il caso della tentata concussione continuata del sindaco di Mantova

La procura di Mantova ha confermato il capo d’accusa per il sindaco: tentata concussione continuata. Anche se la parte lesa nega la sua condizione di vittima, nega di avere colto molestie o ricatti, dichiara “conoscenza e affetto” e la volontà di difendere il sindaco nel caso in cui “emergano falsità”, ma adesso deve tacere, con il telefono e il computer sequestrati, è un modo di proteggerla anche se lei dice: per favore, non tiratemi in ballo, non sono io, non c’entro. Non ci sono soldi, non c’è stato nemmeno un rapporto sessuale fra ultra maggiorenni non sprovveduti. Solo messaggi su WhatsApp, probabilmente qualche foto, e una frase dell’agosto scorso, che fra due che hanno confidenza l’uno verso l’altro può essere un gioco, ma è stata considerata serissima: “Sai che un’associazione a volte non va avanti senza il mio consenso. Cerca di attenerti alle regole”.

 

Le regole prevederebbero che le conversazioni private o spinte fra due adulti consenzienti e consapevoli siano protette dalla segretezza, e le regole prevederebbero anche che una persona non possa essere costretta ad accusarne un’altra, o a confermare le accuse, se ritiene che le accuse non siano vere. Piero Chiara si sarebbe divertito, o forse più stupito, nel tessere insieme tutti i fili di questo racconto in cui il sindaco ha lasciato la città per due giorni, devastato, e ha risposto per tre ore ieri a domande su scambi di messaggi durati oltre un anno, reciproci, con la vicepresidente di un’associazione culturale che aveva bisogno di contributi, e non ne ha avuto nessuno, e la presidente che ha letto i messaggini, mostrati forse per prendere in giro il sindaco, forse per amichevole e perfida complicità, e ha detto: questo è un ricatto. Mentre la vice sostiene di no e resiste alle pressioni, la presidente, che per un periodo ha fatto la modella a Milano e ha visto o forse subìto tentativi di ricatto sessuale, è convinta che sia giusto denunciare, si confronta, cioè racconta questa storia ad altri, ed ecco che scatta la querela, e nessuno dei due ci dorme più la notte e in città non si parla d’altro.

 

Di quello che si nasconde dentro i loro telefoni, e dentro i caffè che hanno preso qualche volta insieme. Il corteggiatore respinto ma senza astio, la corteggiata che vuole difenderlo, la faccenda che assume dimensioni politiche e simboliche, e molti che corrono a cancellare il contenuto dei propri smartphone (anche con la nuova funzione di WhatsApp “elimina per tutti”), il sindaco che scrive su Facebook: sono giorni duri, e ringrazia per il sostegno. Poi dice, al termine dell’interrogatorio in procura: i cittadini sanno che persona sono. Forse quest’uomo si è trovato all’incrocio dei venti e la sua goffaggine privata è diventata un delitto pubblico in un momento in cui i rapporti fra uomini e donne hanno la forma di una resa dei conti, con le migliori intenzioni, con risultati spesso spaventosi, con un sospetto reciproco che cresce giorno dopo giorno, e ci chiede di impersonare di volta in volta il ruolo di vittima, o di carnefice.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.