Beppe Grillo e Virginia Raggi (foto LaPresse)

Il garantismo di Grillo su Raggi è la naturale evoluzione di uno squadrismo digitale

Claudio Cerasa

Non ci cascate. Non è la spia di una doppia morale ma l’ennesima testimonianza della folle direzione di un partito cesarista che considera i princìpi della democrazia rappresentativa solo una fastidiosa e insopportabile cintura di castità

La notizia della richiesta ufficiale di rinvio a giudizio per Virginia Raggi – l’accusa è di “falso” per la nomina di Renato Marra e dovrebbe essere facilmente accolta dal gup – è arrivata ieri dalla procura di Roma e ha prodotto una serie di reazioni, tra coloro che non amano il sindaco della Capitale d’Italia e il Movimento 5 stelle, più o meno così sintetizzabili: ma guarda un po’ che buffoni questi grillini, quando l’indagato ha cinque stelle sono tutti garantisti, quando l’indagato non ha cinque stelle sono tutti giustizialisti.

 

Il tema dei due pesi e delle due misure ha certamente una sua centralità quando un moralizzatore improvvisamente viene moralizzato (ieri il Movimento cinque gogne, senza avere alcun senso del ridicolo, ha accusato i giornali di aver montato una campagna di stampa infamante contro il sindaco di Roma per via di un’accusa, quella di abuso d’ufficio, per la quale Raggi non è più indagata: “L’ha fatta franca”, avrebbe detto il 5 stelle qualora l’indagato in questione non fosse stato un grillino). Ma il tema della doppia morale è un tema che va maneggiato con cura e che forse andrebbe messo da parte perché porta con sé un ragionamento tipico da fake news: l’idea cioè che il problema del Movimento 5 stelle, come ha suggerito sabato scorso su Repubblica Roberto Saviano, sia il tradimento delle origini, e non invece la conferma costante e quotidiana che le origini non sono state mai tradite, ovverosia che oltre il vaffa, nel grillismo, non esiste nulla. Al contrario di quello che qualcuno potrebbe credere, non c’è nulla di garantista nel considerare innocente fino a prova contraria solo chi si trova vicino ai microchip della Casaleggio, perché la logica in base alla quale la banda dei Manettari e Associati considera non colpevole un indagato come Virginia Raggi è l’essenza pura del grillismo, la perfetta sintesi del maoismo digitale: i princìpi della democrazia diretta contano più dei princìpi della democrazia rappresentativa e di conseguenza un post di un clown conta più di un articolo della Costituzione.

 

Nessuno sembra averci fatto caso, ma le ragioni per cui i “dirigenti” del Movimento 5 stelle sono autorizzati a considerare Virginia Raggi innocente fino a prova contraria non hanno nulla a che fare con l’articolo 27 della nostra Costituzione – che prevede che ogni imputato, anche quelli senza microchip, debba essere considerato non colpevole sino alla condanna definitiva – ma hanno a che fare solo ed esclusivamente con un permesso provvisorio concesso dal blog di Beppe Grillo. Il quale, lo scorso gennaio, ha offerto ai propri militanti la seguente chiave per applicare l’articolo ventisette della Costituzione: chi è innocente fino a prova contraria – e chi può quindi essere risparmiato dalle manganellate morali dei cadetti della gogna – non lo dice la Costituzione ma lo dice il movimento.

 

Le motivazioni per cui il Movimento 5 stelle non condanna Virginia Raggi – pur essendo Virginia Raggi a un passo dalla richiesta di rinvio a giudizio per un reato grave per il quale in caso di condanna in primo grado sono previste pene anche superiori ai due anni, che qualora si manifestassero, in base alla legge Severino, farebbero scattare automaticamente la sospensione dell’incarico da sindaco – non hanno nulla a che fare con il garantismo, e non hanno nulla a che fare con il “tradimento dei valori delle origini”. Ma sono l’ennesima testimonianza della folle direzione di un partito cesarista che considera i princìpi della democrazia rappresentativa solo una fastidiosa e insopportabile cintura di castità e che anche per questo sogna tra le altre cose di superare l’articolo 67 della Costituzione, che prevede che ogni membro del Parlamento debba esercitare le sue funzioni senza vincolo di mandato rappresentando la nazione prima ancora che la Casaleggio Associati. Il principio è dunque semplice e spaventoso. Un blog viene prima dello stato. Un clown viene prima della Carta. Rousseau viene prima di Calamandrei. Voi chiamatelo pure garantismo. Noi continueremo a chiamarlo squadrismo digitale.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.