Un impianto di irrigazione a goccia (foto worldwaterweek via Flickr)

Così Israele nel deserto non rimane senz'acqua. Appunti per Roma

Nicola Imberti

Irrigazione a goccia, desalinizzazione, riciclo e controllo della rete. Ecco come un territorio deserto e arido ha raggiunto l'indipendenza idrica  

All'inizio di luglio, in occasione della visita del presidente indiano Narendra Modi in Israele, il quotidiano Haaretz ha ripubblicato un articolo dal titolo: “Il segreto del miracolo dell'acqua di Israele e come questo può aiutare un mondo 'assetato'”. L'articolo, uscito a gennaio, veniva riproposto anche alla luce del fatto che tra gli accordi di cooperazione siglati da Modi e Netanyahu, oltre a quelli su innovazione, tecnologia, lotta al terrorismo, ce n'era uno specifico sul settore dell'acqua.

 

Il motivo è semplice. In questi 70 anni Israele è diventato un esempio virtuoso trasformandosi da territorio deserto e arido in quello che il Deuteronomio descrive come “un paese di frumento e orzo e viti e fichi e melograni, un paese di olivi da olio e di miele”. Il segreto di questo miracolo, per dirla con le parole di Haaretz, è proprio nella gestione delle risorse idriche. Che sempre di più sta diventando modello da esportare in altre zone del pianeta.

 

Il punto, come ci spiega Jonathan Pacifici, venture capitalist nato a Roma e presto emigrato in Israele dove si occupa di startup, è anzitutto culturale: “Israele ha capito, anche per necessità legate al territorio, che l'acqua è una risorsa strategica del Paese. Che quindi non può essere data per scontata né, tantomeno, sprecata. Da qui nasce tutta la politica di gestione di questa risorsa la cui esigenza primaria è quella di avere delle infrastrutture idriche efficienti. Non a caso la società pubblica dell'acqua è controllata dal ministero delle Infrastrutture. A ulteriore riprova che si tratta di un elemento strategico per il paese”.

Per questo il primo, decisivo, momento che Pacifici identifica come inizio del “miracolo” è la costruzione dell'Acquedotto nazionale. Un'opera monumentale (costò il 5% del pil nazionale) inaugurata nel 1964 che servì per portare l'acqua, dal lago di Tiberiade, in tutto il paese. L'Acquedotto, oltre a servire da fonte di ispirazione per lo sviluppo di altre infrastrutture, è la sintesi di un concetto molto semplice: quello del controllo delle risorse idriche e dei flussi dell'acqua.

 

La questione è, ancora una volta, culturale. Se una risorsa è preziosa, bisogna sapere come viene utilizzata. Cosa va e dove. Nasce da qui la seconda grande innovazione made in Israel: l'irrigazione a goccia. “L'acqua - spiega Pacifici - viene portata direttamente alle radici della pianta nella quantità necessaria affinché questa cresca e si sviluppi”. Nessuna irrigazione a pioggia quindi con un risparmio d'acqua che, secondo i dati forniti da Netafim la società che ha brevettato questa tecnologia, può andare dal 25% al 75% e un incremento delle produzioni del 15%. In realtà c'è chi resta scettico rispetto a questi dati, ma di certo c'è che grazie all'irrigazione a goccia Israele ha trasformato zone aride in zone verdi.

 

“Ma la vera rivoluzione - prosegue Pacifici - che ha portato Israele all'indipendenza idrica, è arrivata negli ultimi anni e si fonda su due capisaldi: desalinizzazione e riciclo delle acque grigie. Attraverso l'osmosi inversa si riesce a produrre una notevole quantità d'acqua ad un costo che è un ventesimo di quello degli altri paesi del golfo. E questo permette anche di avere prezzi corretti per i singoli consumatori. Il sistema del riciclo, invece, ci consente di riutilizzare l'85% delle acque non potabili che possono essere utilizzate in agricoltura. Solo per rendersi conto di cosa stiamo parlando il secondo paese al mondo, in questo settore, è la Spagna che riesce a riciclare il 19%”.

 

L'ultimo elemento, anch'esso decisivo, è quello del monitoraggio. Attraverso la tecnologia Israele è in grado di controllare sia le perdite della rete sia le carenze del sistema. Con tassi di dispersione che si aggirano tra il 9 e il 10%. Impossibile non pensare a cosa succede a Roma dove, secondo i dati Ispra, gli sprechi raggiungono il 42,9%. “Si tratta di perdite che in Israele non verrebbero minimante tollerate” sottolinea Pacifici.

 

Accanto a tutto questo c'è ovviamente l'aspetto economico-occupazionale. Tante le società che sono nate nel settore. Come la SmarTap, una startup che si occupa del monitoraggio e del saving dell'acqua utilizzata dalle docce. O come la Utilis, azienda che ha messo a punto una sofisticata tecnologia di controllo satellitare e che in questo ambito ha avviato una collaborazione con Hera, multiutility che opera in oltre 250 comuni tra Emilia Romagna, Veneto, Friuli e Marche. Solo nel 2015 questa attività di ricerca delle perdite nella rete ha consentito al gruppo italiano di recuperare oltre 1.500 milioni di litri di acqua.  Vuoi vedere che il “miracolo” israeliano funziona anche in Italia? 

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