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In Turchia inizia un maxiprocesso: 500 golpisti alla sbarra

Enrico Cicchetti

“Vogliamo la pena di morte!”, urlano i manifestanti riuniti davanti al tribunale. È il più grande processo che Ankara abbia mai realizzato sul tentativo di golpe

In Turchia, nel centro penitenziario di Sincan, alla periferia di Ankara, in un’aula bunker da 1.500 posti istituita ad hoc, è iniziato il maxi processo contro 486 persone accusate di gravi responsabilità nel fallito colpo di stato del 15 luglio scorso. È il più grande processo che la Turchia abbia mai realizzato sul caso: gli imputati sono stati condotti oggi in tribunale, accusati di aver preso parte al golpe nel quale sono morte quasi 250 persone.

   

Gli imputati, ammanettati e scortati da due ali di poliziotti e guardie armate, hanno raggiunto il tribunale tra gli insulti dalla folla riunita davanti all’aula: “Vogliamo la pena di morte!”, urlavano i manifestanti assiepati dietro alle garitte di protezione. Alcuni di loro sono parenti delle vittime. Nel 2004 la Turchia ha abolito la pena capitale per intraprendere il processo di adesione all’Unione europea: la pena massima a cui saranno condannati i detenuti sarà quindi l’ergastolo – sempre che la legge non cambi, come chiedono a gran voce i sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdogan.

  

Il processo si concentrerà sugli eventi accaduti nella base aerea di Akinci, a nord ovest della capitale, che si presume fosse il quartier generale dei golpisti. Il capo di stato maggiore, il generale Hulusi Akar, e altri ufficiali di alto livello sono stati tenuti in ostaggio nella base per diverse ore la notte in cui i militari hanno cercato di rovesciare il governo. E dalla base aerea sarebbero partiti gli F16 con l’ordine di bombardare il Parlamento e il palazzo presidenziale. Tra coloro che si preparano ad affrontare il processo figurano l’ex comandante dell’aeronautica Akin Ozturk, che avrebbe diretto le operazioni nella base aerea di Akinci, il leader religioso Adil Oksuz, noto come l’imam del golpe e anche lui in fuga, l’imprenditore Kemal Batmaz, accusato di aver sostenuto il predicatore Oksuz. Gli imputati sono accusati di aver “violato la Costituzione, cercato di assassinare il presidente Erdogan, tentativo di abolire il governo, gestione di un’organizzazione terroristica armata, sequestro di una base militare, omicidio, tentato omicidio e sequestro di persona”. Si prevede che le udienze andranno avanti almeno fino al 29 agosto.

Tra quelli alla sbarra, 461 sono in carcerazione preventiva, 18 in libertà condizionata in attesa del giudizio. Sette, invece sono quelli alla macchia e irreperibili. Tra coloro che saranno giudicati “in absentia”, c’è anche Fetullah Gülen, predicatore islamico e politologo che dal 1999 è in esilio volontario negli Stati Uniti. Un tempo Gülen era alleato del presidente Erdogan, ma oggi invece è considerato il vero mandante del golpe e per lui è stata chiesta l'estradizione. Molti "liberali, socialisti e kemalisti stanno ora dalla parte di Erdogan su questo particolare problema – quello di ripulire la Turchia dallo “stato parallelo” gulenista – pur mantenendo intatte le critiche all’autoritarismo del regime di Erdogan", spiega Mustafa Akyol su al Monitor. Il movimento di Gülen controllava infatti associazioni professionali e studentesche, organizzazioni caritatevoli, aziende, scuole, università, radio, televisioni e quotidiani. Dal 15 luglio dell’anno scorso migliaia di persone sono state arrestate, anche solo se sospettate di avere legami con Gülen. Nei giorni scorsi, il governo turco ha reso noto che dal fallito colpo di stato dello scorso anno 142 mila persone sono state coinvolte dalle epurazioni nel settore pubblico. Il decreto è stato emesso secondo la procedura prevista dallo stato di emergenza, in vigore dal 20 luglio 2016. Per l’opposizione, Erdogan sta utilizzando la purghe per soffocare il dissenso politico.

    

Negli ultimi mesi ci sono stati diversi processi a persone accusate di essere responsabili o di avere preso parte al fallito golpe. Uno di questi, che si è tenuto a maggio, iniziò sotto enormi misure di sicurezza, mentre all'esterno dell'aula gruppi di manifestanti chiedevano che si applicasse la pena di morte.