LaPresse/Osservatore Romano

Il mite Bassetti verso la guida della Cei, tra difesa dei valori e odore delle pecore

Matteo Matzuzzi

Eletta la terna per la successione a Bagnasco. Parola al Papa 

Roma. E’ stata più rapida del previsto la procedura che ha portato i 226 vescovi italiani a eleggere la terna da presentare al Papa per la scelta del nuovo numero uno della Cei dopo la fine del decennio a guida Angelo Bagnasco. In un paio d’ore tutto era compiuto e il quadro che è emerso dalla prima votazione nella storia per la presidenza dell’organismo episcopale è chiarissimo: messe da parte le resistenze al nuovo corso e le nostalgie per un passato che non ritorna, i tre prescelti sono tutti in qualche modo sostenitori acclarati dell’agenda di Francesco. Il primo a entrare nella terna, come previsto da tempo, è il cardinale arcivescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti. Da Santa Marta, dopotutto, di segnali che questa fosse una delle soluzioni gradite ne erano stati mandati in abbondanza. Prima, la creazione cardinalizia nel concistoro del 2014 (a Perugia una porpora non si vedeva dai tempi del cardinale Pecci, poi eletto Pontefice col nome di Leone XIII nel 1878), quindi – poche settimane fa – la proroga quinquennale (cioè fino agli ottant’anni d’età) alla guida della diocesi umbra.

    

Bassetti l’ha spuntata al ballottaggio sul vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla, già ausiliare di Milano e rinomato teologo, che comunque è stato eletto alla tornata successiva. L’ultimo posto è andato all’arcivescovo di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, in prima linea sul fronte migranti e pastore di quella Lampedusa che Bergoglio scelse come meta simbolica del suo primo viaggio pastorale dopo l’elezione, nel 2013. Hanno ottenuto voti, tra gli altri, il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori e mons. Bruno Forte, di Chieti-Vasto. Nessuna battaglia all’ultimo voto, però. Poche spaccature come invece si diceva, nessuna tenzone tra conservatori e progressisti per contendersi la carica. La terna è stata immediatamente consegnata al Papa che, a norma dello Statuto della Cei, potrà scegliere uno dei nomi più votati o nominare il presidente guardando ad altri profili. Questa, però, è un’opzione assai poco probabile, soprattutto perché le figure emerse in Assemblea rappresentano – ciascuno a modo suo – un cambiamento d’indirizzo rispetto all’ultimo trentennio inaugurato dalla “svolta” di Loreto del 1985, con la rivendicazione da parte della chiesa italiana di uno spazio pubblico e l’apertura della lunga stagione delle battaglie in difesa dei valori cosiddetti non negoziabili. Bassetti, fra i tre, rappresenta la soluzione mediana. Deciso nell’affermazione dei valori, il porporato è estraneo alla corrente più muscolare (per importare una categoria del conservatorismo episcopale americano) che per anni si è trincerata dietro al “fortino da difendere” contro le minacce esterne. Nove anni fa sembrava destinato alla sede di Firenze, ma all’ultimo gli fu preferito Giuseppe Betori, allora segretario generale della Cei. Personalità dal marcato tratto pastorale, ha pescato consensi in ciascuna delle tre macro-aree in cui sono divisi i vescovi italiani, a riprova della credibilità di cui gode in modo trasversale. Particolare non di poco conto: conosce bene la macchina, essendo stato vicepresidente della Cei per l’Italia centrale.

    

Molti consensi ha ottenuto anche Brambilla, già preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, grande studioso di Edward Schillebeeckx e per quattro anni vescovo ausiliare di Milano, fino all’arrivo di Angelo Scola. Ha preceduto il cardinale Montenegro, che alla fine ha coagulato parte dei voti dei presuli meridionali, loro sì divisi, riuscendo a entrare nella terna. La mattinata s’era aperta con l’applauso corale ad Angelo Bagnasco che, commosso, non era riuscito a concludere la sua ultima relazione da presidente. “L’uomo occidentale – ha detto l’arcivescovo di Genova – appare confuso e smarrito sulla propria identità e sul suo stesso destino. Ma dentro a questo groviglio, è presente una opportunità che – pian piano – emerge dalla coscienza distratta, si fa voce, si trasforma in attesa, diventa invocazione: è l’alba del risveglio”. La confusione e l’angoscia diffusa “possono indurre a una più intensa distrazione per paura di pensare, ma possono invece condurre a risvegliarsi e porre le domande decisive. Il risveglio sarà a volte timido e intermittente”, a volte “improvviso e tumultuoso” Ma “il processo è iniziato e nessuno potrà fermarlo, perché l’uomo non può vivere a lungo senza verità”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.