Caos a Termini, notizia ampiamente esagerata

Giuliano Ferrara

Venerdì su un treno diretto a Roma, bloccato a Settebagni. Il solito passeggero che diceva tutti ladri era uno solo. Gli altri molto spiritosi, calmi, pazienti, ragazze e vecchietti

Le avventure di viaggio degli altri, come gli amori degli altri, sono abominevoli. Ma certi racconti possono diradare la polvere dell’informazione coatta. Un sabato di qualche mese fa sono sull’aereo easy jet per Parigi-Orly, al mattino. Un ubriaco e drogato accoltella un militare, una donna se ricordo bene, o ci prova. Topo in gabbia, dopo un’ora di attesa, chiedo di uscire dall’aereo e ottengo in pochi minuti l’avvicinamento di un finger. Me ne vado, perché si intuiscono, oltre all’ora già perduta, lunghe attese, tra il pubblico dei viaggiatori si forma una specie di marasma ridicolo, di cui si comincia a far parte. Meglio tornare a casa, scrivere un articolo che avrei dovuto mandare da Parigi, sorbire una minestrina, prendere le tre canuzze, montare in auto e andare a Parigi via Torino. Una delizia. Sostenuta dalla sensazione di essere stato trattato bene dal personale della compagnia e dell’aeroporto. E dalla pazienza utile a capire, che, sebbene Orly come gli Champs-Elysées sia stato tutto tranne che jihadismo, bè, si capisce l’eccesso di zelo in sicurezza, con quello che è successo e può sempre succedere. Poi tutto bene.

 
Venerdì sera di ritorno da Milano il treno ad alta velocità si è fermato alle porte di Roma. Devo decisamente fare visita al Santuario del Divino Amore, caro a noi romani, e farmi benedire. Termini era saltata, black out. Leggo sui giornali che è stato il caos. Non è vero. Bè, certo l’ordine di arrivi e partenze si era volatilizzato. Di nuovo quella sensazione di essere un topo in gabbia. C’era in me il rimpianto di un’epoca magnifica in cui, per esempio in Spagna, i treni erano vetture che viaggiavano lente con le porte aperte, c’era il bar con tutti i tappi delle birre allineati sotto il bancone, altro che Almodòvar, eravamo una fauna preziosa di viaggiatori incalliti e matti, poveri e fumatori (ho fumato per grave stato di ansia nervosa anche su Trenitalia, durante la seconda ora di prigionia dalle parti di Settebagni con uno splendido tramonto goethiano dal finestrino ovest ermeticamente chiuso ma visualmente aperto sulla campagna, che poi la seconda ora in gabbia era la quinta di viaggio per un biglietto di meno di tre ore previste). Ma non c’è stato caos. Il solito passeggero che diceva tutti ladri era uno solo. Gli altri molto spiritosi, calmi, pazienti, ragazze, signore, vecchietti, facce italiane meravigliose e informali, nessuno tranne me turpiloquente, chi aveva perso la coincidenza chi come me una cena con moglie e amici, e gli avvisi della ditta ferroviaria continui e abbastanza precisi. Tutti pazzi per il telefonino, tecnologicamente liberi, informati minuto per minuto, carichi di elettricità per la ricarica delle batterie e di wifi (uìfì, come dicono i francesi).

 

Mi ha dato fastidio una gomma americana, ma che se masticano, e l’assenza di pezzi interessanti da leggere nei giornali (il Fogliuzzo l’avevo consumato dall’a alla zeta). Sono claustrofobo, ho proposto a un fustone di prendere il piccone rosso dell’emergenza, rompere la porta-finestra, e fuggire lungo i binari, ma ovviamente scherzavo e lui lo sapeva. Alla fine una bella commedia all’italiana, durata un po’ troppo, d’accordo, ma senza drammi. Mia moglie chiamava e mi diceva di stare calmo, il che mi faceva innervosire. Amici da Milano preoccupati per me. Ma io ho un pace maker e me ne fotto di tutto, con le batterie si vive alla grande anche una circostanza così irritante.
Poi, appena mi sono rilassato, il treno è ripartito, è arrivato in stazione “regolarmente”, e ai binari era zeppo così di personale specializzato incaricato di assistere per le coincidenze saltate. Caos? Non l’ho visto né esperito.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.