Foto LaPresse/Greenpeace

Greenpeace imputata per diffamazione. E oltre alla multa rischia la beffa

Redazione

La canadese Resolute chiede un risarcimento di 220 milioni di dollari, una cifra che causerebbe la chiusura dell'associazione. Che intanto subisce la contro-campagna di marketing della multinazionale

In Canada Greenpeace è imputata in tribunale per diffamazione. A citarla in giudizio è la multinazionale Resolute Forest Products: se vincesse otterrebbe la chiusura della storica associazione ambientalista, a cui ha chiesto 220 milioni di dollari di risarcimento.

 

La questione riguarda le attività dell'azienda nella foresta boreale nel nord del Canada, dove Resolute, che è la più importante cartiera canadese, taglia gli alberi per produrre carta. L'azienda di Montreal, secondo Greenpeace, violerebbe però i diritti delle popolazioni indigene della foresta boreale e minaccerebbe le specie animali incidendo con la deforestazione sul loro habitat. Anni di campagne e di denuncia sono valsi all'associazione ambientalista la causa che oggi si trova a fronteggiare, con l'accusa di aver diffuso informazioni false che penalizzano l'immagine di Resolute sulla base di una legge originariamente pensata per combattere il crimine organizzato, la Racketeer Influenced and Corrupt Organization Act (Rico). Nella denuncia depositata presso la Corte distrettuale della Georgia del Sud si legge – tra le altre cose – che Greenpeace “è una frode globale”, che il suo primo obiettivo “è raccogliere fondi e non salvare l'ambiente” e che le donazioni sono richieste con modi “allarmisti” ed “emozionali”.

     

Ma l'aspetto emblematico della storia non è tanto quello giudiziario, quanto quello della comunicazione. I due fronti infatti non si sfidano solo davanti ai giudici ma anche davanti all'opinione pubblica: entrambi hanno gli strumenti per condurre importanti campagne di marketing e sono due giganti nei loro rispettivi contesti. Da una parte Greenpeace, che ha pubblicato un rapporto interattivo sul suo sito con tutti i riferimenti storici e ambientali e ha lanciato un video in cui spiega la vicenda. Ma, dopo anni di campagne aggressive sembra però aver calmato i toni. Dall'altro la multinazionale, che rilanciando uno spigliato orgoglio industriale ha affidato a un blog una serie di interventi per ricostruire la storia dal suo punto di vista, usando invece il linguaggio aggressivo fin ora adottata dall'associazione.

    

Resolute ha spiegato che, con i suoi metodi aggressivi di marketing, Greenpeace diffama e calunnia le imprese, spesso incapaci di difendersi e costrette a subire le ingiurie. Per dimostrare di operare nel rispetto dell'ambiente, ha postato una serie di riferimenti alle leggi forestali del Canada e ai metodi ambientali usati per ripiantare gli alberi, rigenerare la foresta e tutelare l'habitat.

       

“C'è differenza tra la libertà di parola e la diffamazione” sostiene la Resolute, secondo cui le frasi retoriche e le opinioni espresse da Greenpeace durante le sue campagne non sono giustificabili come semplici slogan pubblicitari. Perciò oggi l'associazione dovrà rispondere delle parole pronunciate, che hanno "impattato sulla vita delle persone, di chi ha perso il lavoro e vissuto le ripercussioni socio economiche" di quella "disinformazione", ha detto Seth Kursman, capo della comunicazione e della sostenibilità di Resolute.

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