Foto LaPresse/Donato Fasano

Forse i No Tap sbagliano, ma la proprietà è più importante dell'utilità

Dino Cofrancesco

Il gasdotto in Salento, Locke e un articolo di Porro

Ho molta stima per Nicola Porro e ne sono (senza merito) ricambiato. È proprio per questo che mi ha lasciato perplesso il suo articolo “Lo Stato ha il diritto di sradicare gli ulivi” – per pubblica utilità – uscito sul Giornale giovedì scorso. Porro cita Adam Smith: “Lo stato serve per tre cose. La difesa, la giustizia e per realizzare quelle opere pubbliche che i privati da soli non farebbero mai”. Giustissimo e non sarò certo io a negarlo, critico da sempre dell’antistatalismo libertario. Ci sono, però, almeno due “piccoli problemi”. Fino a che punto, “l’interesse superiore dello stato” può non tener conto della conservazione di un patrimonio artistico e naturale che, in quanto bene di tutti, dovrebbe essere considerato indisponibile? Non dimentichiamo che il liberalismo “duro e puro” antepone la difesa della proprietà (pubblica e privata) a ogni considerazione di utilità (pubblica e privata). La vecchietta del Midwest che non si lasciò espropriare la casetta sul fiume per consentire l’impianto di una fabbrica, che avrebbe dato lavoro a centinaia di disoccupati e risollevato l’economia della contea, fece ricorso alla Corte suprema degli Stati Uniti e vinse la sua causa. Ma c’è un’altra considerazione da fare: le autonomie locali – che tra l’altro non inteneriscono il mio vecchio cuore – vanno sempre “prese sul serio”, in quanto espressione di democrazia dal basso, oppure solo quando conviene al potere? Se gli abitanti di una zona si oppongono alla manipolazione dell’ambiente, il loro veto conta qualcosa o va visto come un ennesimo caso di provincialismo antimoderno?

 

Tocqueville, che Porro ama quanto me, in “L’Antico Regime e la Rivoluzione”, riserva pagine ironiche alle burocrazie regie – in cui vede il prototipo dello stato amministrativo che calpesta i diritti degli individui e delle comunità – che, dovendo costruire una strada nazionale e avendo in mente la razionale linea retta, non esitavano a espropriare i terreni privati e ad azzerare antichi diritti. Se avessero aggirato quei terreni, i costi dell’operazione sarebbero stati più alti ma avrebbero potuto conciliare l’utile sociale con il rispetto della tradizione. In fondo, è quel che propone Pantaleo Corvino, intervistato dal Giornale, quando chiede di far passare il contestato oleodotto del Salento “dove è sicuro per tutti, anche per le piante”. Certamente la deviazione del percorso comporterà spese più elevate ma, come “nessun pasto è gratis”, così nessuna politica ambientale è priva di costi.

 

Non so se quei 200 ulivi che si vogliono sradicare (e poi ripiantare) costituiscano davvero un bene così prezioso da evocare i (liberalissimi) “limiti del potere dello Stato”. Mi chiedo, però, chi dovrebbe stabilirlo: la Pubblica amministrazione? I Tar? Le comunità locali? Le Soprintendenze? Che i No Tap, come ricorda giustamente Porro, si mobilitino a seconda dei casi, è scontato ma il problema rimane. Il liberalismo non è l’ideologia del progresso industriale che, creando ricchezza, finisce per mettere d’accordo datori di lavoro e prestatori d’opera, la Fiat e la Cgil, profitto e occupazione: è la difesa intransigente dei diritti degli individui iscritti nel tripode lockeano – libertà, vita, proprietà.

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