Luigi de Magistris (foto LaPresse)

Perché de Magistris preferisce i centri sociali al cuore di Napoli

David Allegranti

Intervista al politologo Mauro Calise: “Il sindaco tutela il suo elettorato, l’identità napoletana non c’entra nulla”

Roma. “Io sto con i centri sociali”, dice Luigi de Magistris, novello Luigi XIV (“Lo Stato sono io”) che apprezza il disordine pubblico e si fa portavoce di una non meglio precisata identità napoletana. Il sindaco-pm sogna una Repubblica autonoma e liscia il pelo a chi è riuscito a trasformare Matteo Salvini in un campione della democrazia. Il politologo Mauro Calise avverte però che non bisogna dar retta a de Magistris quando si spaccia per campione della napoletanità. “Io direi che bisogna guardare i fatti in termini molto più elementari”, dice Calise al Foglio. “L’area della marginalità sociale organizzata è un importante bacino elettorale di de Magistris ed è quello che gli ha consentito la vittoria, peraltro di misura. Non bisogna dimenticare infatti che de Magistris alle ultime elezioni ha preso 80 mila voti in meno rispetto alle precedenti. Ed era senza avversari”.

 

Dunque, spiega Calise, “una parte consistente di questi voti li ha presi, appunto, dal bacino giovanile della marginalità sociale organizzata, che è un fenomeno vero, con un suo peso, con una sua drammaticità e che non ha particolari canali di rappresentanza e di ascolto politico. Il sindaco li ha individuati come uno dei suoi principali interlocutori. In campagna elettorale, mentre gli altri quartieri generali erano fatti di quattro stanze nelle quali si confezionavano liste fantasma, de Magistris – e in particolare il fratello, che è un ottimo organizzatore e comunicatore – aveva messo in piedi una sede nella galleria Umberto I, dove i gruppi teatrali e musicali potevano andare a fare le loro performance. Questo per dire che in de Magistris non ci sono solo ombre ma anche elementi positivi, ancorché relativi a un aspetto limitato della vita cittadina; è così che ha avuto una sorta di esclusiva durante la competizione elettorale e se l’è giocata bene”.

 

Ma de Magistris rappresenta davvero l’identità napoletana? “Ritengo che sia un termine fuori luogo e fuori tempo massimo: de Magistris stava difendendo solo una propria costituency, e nel fare questo ci ha messo quella dose di demagogia nazional-populista, in cui si trova a suo agio, e la miscela è diventata esplosiva. Dopodiché, non c’è dubbio che ha fatto un ottimo spot per Salvini e un pessimo spot per la città; però probabilmente rispetto al proprio elettorato non ha perso consenso, anzi forse lo ha persino guadagnato. I conti tornano, quindi: i suoi. I conti del cittadino napoletano medio un po’ meno”.

 

Se si è arrivati a questo punto naturalmente è perché il sindaco-pm non ha avversari. “De Magistris non ha opposizione politica. Il Pd si è suicidato a Napoli, come sanno tutti. Il modo in cui è stato eliminato Bassolino è stato uno scandalo nazionale. Tolto di mezzo l’unico potenziale competitor di de Magistris, non è rimasto nulla. Rimangono le responsabilità del Pd nazionale e romano e il prezzo di quel suicidio politico con il passare del tempo non diminuisce, ma aumenta. Il Pd di Napoli oggi è in uno stato di commissariamento virtuale, perché per averne uno vero servirebbe lo scioglimento degli organismi dirigenti. L’altro avversario del sindaco, Gianni Lettieri, si è dimesso da consigliere ed è tornato a fare l’imprenditore. Guardi, a Napoli ci consoliamo con il sole”. Prego? “Sì, il sole. Non è da poco. Il turismo continua a tirare molto, c’è un’onda lunga che viene dalla stagione bassoliniana, in più c’è un circuito internazionale che ci premia. Vent’anni fa non veniva nessuno, da Napoli si passava per andare a Pompei e basta. De Magistris non ha fatto molto, al massimo si è limitato a bloccare il traffico su lungomare. Ma il non fare, dal punto di vista di un pm, ha una sua logica ben precisa: chi non fa non sbaglia. E lui si è tenuto lontanissimo dalla vicenda Bagnoli proprio per questo”. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.