Foto tratta da www.stadiodellaroma.com

Consigli a Virginia Raggi (e Beppe Grillo) per fare lo stadio della Roma

Francesco Karrer e Sergio Pasanisi

Bisogna trovare una via d’uscita tra l’urbanistica razional-comprensiva dei vecchi piani regolatori e quella concertata degli ultimi decenni

Beppe Grillo e il M5S pare abbiano deciso di non decidere: sì allo stadio della Roma, ma non a Tor di Valle. A questo punto si ripropone il quesito da noi posto nell’articolo pubblicato su “Il Foglio” del 22 giugno dello scorso anno. Perché lì e non là? Perché non applicare il principio di concorrenza anche nell’urbanistica? Certo, la legge sugli stadi dà un’ampia libertà al promotore, ma quanto successo fino ad oggi a Roma dimostra come sia necessario trovare una via d’uscita tra l’urbanistica razional-comprensiva dei vecchi piani regolatori figli della legge 1150 del ’42, tanto difesa dall’ex assessore Berdini, e l’urbanistica concertata degli ultimi decenni. Metodo, quest’ultimo, applicato di fatto anche dalla giunta Marino per il nuovo stadio, ma demonizzato dalla giunta Raggi. Che ora si troverà nel dilemma di come e dove concedere alla società sportiva Roma (e forse non solo) la possibilità di realizzare il proprio stadio. E così forse l’unica soluzione per uscire dalla palude appare proprio quella che scrivemmo allora e che suscitò un interessante dibattito.

 

Oggi, con la bocciatura della proposta Parnasi/Pallotta/AS Roma, cosa si può fare perché nella città sia realizzato un nuovo moderno impianto sportivo degno di una capitale europea? Innanzitutto è necessario che l’amministrazione si doti di vere competenze tecnico/giuridiche sia sul piano culturale che operativo e che non abbiano preconcetti ideologici. Poi deve essere fatta una seria valutazione sul patrimonio esistente, in particolare sulle condizioni dello stadio Flaminio e sull’Olimpico per verificare le reali possibilità della loro trasformazione. Valutando tecnicamente sia la loro funzionalità, anche futura, visto l’evolversi degli standard edilizi internazionali per le competizioni sportive. Nonché gli effetti dei vincoli storico artistici che gravano su tali opere.

 

Una volta escluse tali ipotesi, una strada, visto il vulnus prodotto dalla legge sugli stadi vigente, è avviare una procedura che preveda la messa in concorrenza – il modo preferibile per rispettare in trasparenza l’obbligo della contemperazione degli interessi contrapposti - di proposte alternative private. Magari indicando anche possibili localizzazioni su aree pubbliche. A mero titolo esemplificativo, l’area di Pietralata. Già espropriata grazie alla “legge di Roma Capitale” del ‘90, per realizzare il Sistema Direzionale Orientale, SDO. Obiettivo oramai superato mentre l’area giace oggi in uno stato di assoluto abbandono, malgrado l’imponente infrastrutturazione di cui dispone: stazione alta velocità, metropolitana, tangenziale Est. Peraltro si rammenta che quella legge che consentì gli espropri permette anche di realizzare edifici terziari privati, come previsto nella proposta di trasformazione dell’area di Tor di Valle. E’ evidente quindi che solo con un forte indirizzo pubblico, che favorisca una “urbanistica per operazioni”, sarà possibile affrontare progetti di trasformazione/rigenerazione urbana complessi da parte dei privati.