Un gazebo del M5s (foto LaPresse)

Si è chiusa l'indagine sulle firme false a Palermo

Riccardo Lo Verso

La banda dei 14: gli attivisti duri e puri rischiano tutti di finire sotto processo, e il M5s ne esce a pezzi

Palermo. Sono in quattordici e rischiano tutti di finire sotto processo. La procura di Palermo ha chiuso le indagini e chiederà il rinvio a giudizio dei protagonisti dello scandalo “firme false”.

Era il 2012 e in un piccolo ufficio di Palermo attivisti e aspiranti consiglieri comunali del Movimento 5 stelle si accorsero di avere sbagliato il luogo di nascita di un candidato. Non avrebbero fatto in tempo a chiedere ai cittadini di firmare di nuovo le liste elettorali. E così il gruppo di militanti, duri e puri, decise di ricopiare le firme che avevano già raccolto in giro per la città.

A guidare quel gruppo c’era Riccardo Nuti, candidato a sindaco nella tornata elettorale che allora riconsegnò la città all’eterno Leoluca Orlando e che sarebbe poi divenuto parlamentare nazionale. Nuti apre l’elenco dei quattordici indagati, di cui sarebbe stato l’istigatore secondo la procura, seguito da altri due parlamentari nazionali, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, e dagli onorevoli regionali Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio. Hanno fatto scelte diverse, giudiziarie e non. I “nazionali” si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Silenti davanti ai pubblici ministeri, loquaci sui social network. In lunghi commenti postati su Facebook, si dicevano certi che la loro innocenza sarebbe venuta a galla e si auto proclamavano vittime della gogna mediatica della stampa nemica. Da Roma arrivò l’epurazione decisa dal collegio dei probiviri.

I “regionali” La Rocca e Ciaccio, non solo si autosospesero quando furono raggiunti dall’avviso di garanzia, ma confessarono le loro responsabilità ai pubblici ministeri. E’ vero, quella notte le firme furono taroccate. E’ lo stesso risultato a cui sono giunti i periti nominati dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia e dal sostituto Claudia Ferrari dopo che decine di cittadini, convocati dalla Digos, avevano disconosciuto la loro firma.

Il passaggio successivo fu la consegna delle liste in Tribunale dove un cancelliere, Giovanni Scarpello, certificò che centinaia e centinaia di firme erano state apposte in una sua presenza. Secondo l’accusa, sarebbe l’ennesima bugia del pasticcio “firme false”, stavolta spacciata per verità da un pubblico ufficiale. A istigare Scarpello, così si legge nell’avviso di conclusione delle indagini, sarebbe stato un avvocato e candidato alle comunali, Francesco Menallo.

Sono quattordici i nomi noti dell’inchiesta, al fianco dei quali ci sono “le persone non identificate”: dagli altri attivisti che parteciparono alla falsificazione fino all’anonimo, rimasto tale, che scrisse una lettere alla Procura della Repubblica e alla trasmissione “Le Iene”. Fu il la alla riapertura di fascicolo che era stato inizialmente, e forse frettolosamente, archiviato.

  
“Sono tutte bugie”, dicevano

In tanti sapevano cosa era accaduto quella notte, ma nessuno ritenne opportuno parlarne. In ballo non c’era solo la candidatura alle amministrative di Palermo, dove il Movimento 5 stelle non superò lo sbarramento, ma la successiva carriera politica che li avrebbe visti protagonisti. Qualcuno non era riuscito a tenersi dentro il segreto. Si era confidato e la voce era giunta ad altri esponenti del Movimento. Come Giancarlo Cancelleri, oggi deputato all’Ars e futuro candidato alla presidenza della regione Siciliana. Delle firme false era venuto a conoscenza in maniera “generica”, ma lo tranquillizzarono. Erano solo bugie. Si tratta dello stesso Cancelleri che ha chiesto e ottenuto dal Parlamento siciliano un rimborso di 3.500 euro per il carburante servito per percorrere novemila chilometri in un solo mese, lo scorso ottobre. Soldi che si sommano ai duemila e cinquecento euro d’indennità che i deputati incassano mensilmente. Una busta paga, ad onore del vero, che sarebbe molto più pesante se Cancellieri, come gli altri suoi colleghi, non restituisse una buona fetta degli ottomila euro di stipendio per finanziarie progetti utili alla collettività.

Per la procura di Palermo il caso “firme false” è chiuso. Presto i pm chiederanno il processo per gli indagati che, dopo avere scelto la strada del silenzio, possono ancora chiedere di essere interrogati o presentare memorie difensive. Se non saranno convincenti arriverà la scontata richiesta di rinvio a giudizio.   

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