Il forno di Fabio di Lello

Per l'arcivescovo di Vasto la colpa è della giustizia lenta

Enrico Cicchetti

Per Bruno Forte si poteva evitare la tragedia “con un intervento rapido e una punizione esemplare”. Un castigo come quello che reclamava la piazza

“La morte dell'altro uomo mi chiama in causa e mi mette in questione, come se io diventassi, per la mia eventuale indifferenza, il complice di questa morte”. Così scriveva Emmanuel Lévinas, filosofo molto amato da Bruno Forte, l’arcivescovo di Chieti-Vasto che, forse per non apparire anch’egli indifferente, interviene sulla drammatica vicenda che ha colpito la cittadina abruzzese: nel luglio scorso il 21enne Italo D’Elisa investì e uccise Roberta Smargiassi, moglie di Fabio Di Lello che sette mesi dopo ammazza D’Elisa con tre colpi di pistola.

“Una giustizia lenta è un’ingiustizia”, sostiene l’arcivescovo Forte, che cerca di spiegare l’omicidio proprio con le parole del filosofo lituano: “Una vana attesa di giustizia non raddrizza i torti fatti ai deboli”. Per il presule la tragedia poteva essere evitata “con un intervento rapido e una punizione esemplare”. Un castigo come quella che volevano i cittadini scesi in piazza per reclamare la testa del giovane. “Italo D’Elisa era colpevole? Niente precedenti, niente omissione di soccorso, non guidava in stato di ebbrezza”, si chiede Maurizio Crippa sul Foglio. A rispondere sarebbe stata la procura, che ha aperto un'inchiesta e sarebbe arrivata a un processo e a una probabile condanna per omicidio colposo. Dov’è l’ingiustizia? Qual è la velocità esatta per condannare un uomo? Quella che invoca la piazza che non vuole aspettare il processo e pretende minimo l’ergastolo?

 
Così il cortocircuito è attivato. Ecco che il vescovo si sente chiamato in causa e messo in questione e soffia sul sentimento di rabbia popolare. Ecco che il procuratore capo di Vasto sente il bisogno spiegare, a telecamere e taccuini, che il procedimento penale è stato istruito nei tempi e nei modi corretti. Ecco dove siamo arrivati.