(foto LaPresse)

Nuove buone ragioni per dire no alla legalizzazione della cannabis

Alfredo Mantovano

Oggi e domani i Radicali raccolgono firme in favore della legalizzazione. Qualche settimana fa il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione si è schierato anche lui positivamente. Qualche dato e qualche esperienza per spiegare che la soluzione non è così semplice.

Rispetto ai numerosi argomenti pro legalizzazione adoperati da Roberto Saviano (su cui rinvio al mio intervento sul Foglio), quelli del dr. Raffaele Cantone sono appena un paio e hanno un tratto problematico più che apodittico. La sintesi mediatica è stata però che pure il presidente dell’Anticorruzione è per la cannabis legalmente distribuita: rispetto ai proclami dell’autore di “Gomorra” distinguo e differenze, non solo di toni, non hanno avuto peso. E’prevalsa – e come poteva essere diversamente? – la dichiarazione virtuale di voto del responsabile di una delle istituzioni più esposte contro la criminalità economica. Sì o no, come cantava Fiorello una ventina di anni fa: e qui il sì è clamoroso. Come per Saviano, passo in rassegna le ragioni del sì del capo dell’Anac, riprendendo le sue parole, e le confronto con l’esperienza maturata in Italia nel contrasto alla droga.

 

“(…) ho potuto constatare quanto è diffuso il fenomeno tra i ragazzini di oggi. (…) la domanda sorge spontanea. Siamo sicuri che la politica proibizionistica di questi decenni abbia funzionato?” Chiedo al dr. Cantone: può precisare quali sono i decenni di proibizionismo  vissuti dall’Italia? Dal 1975 in poi le leggi sulla droga, inclusa l’ultima del 2014, hanno brillato più per permissivismo; con due eccezioni: la legge Vassalli-Russo Iervolino del 1990 e la Fini-Giovanardi del 2006. La prima ha retto nel suo assetto originario per meno di tre anni, fino al referendum del 1993; la seconda è durata un po’ di più, dal 2006 al 2014. Il totale fa appena un decennio, non più decenni, ma né l’una né l’altra legge meritano la qualifica di proibizioniste, se è vero che - insieme con richiamo alla responsabilità - hanno la prima introdotto e la seconda ampliato le vie per evitare il carcere a chi affronti un percorso di recupero. Se hanno un senso le relazioni annuali del dipartimento antidroga della presidenza del Consiglio sui dati della diffusione degli stupefacenti, basate su criteri obiettivi come le relazioni delle Asl e l’esame delle acque reflue, a partire dal 2008, quando la legge di due anni prima è diventata operativa, si è registrata una contrazione sensibile dell’uso di droga in Italia. Il dato ha ripreso a crescere solo per i derivati della cannabis nel 2011, in parallelo con la capillare offerta per web di acquisto di spinelli e piantine, e della propaganda correlata a tale offerta; e anche questo è illustrato con dovizia di dettagli nelle relazioni ufficiali che fanno capo a Palazzo Chigi. La causale non è un inesistente proibizionismo, ma un fenomeno specifico e individuato, che avrebbe meritato un contrasto proporzionato alla sua estensione.

 

“(…) vogliamo renderci conto di quanti ragazzini entrano in contato diretto con la criminalità organizzata quando vanno a comprarsi il fumo per strada?” In quest’ottica la legalizzazione avrebbe l’obiettivo di sottrarre i “ragazzini” da contaminazioni criminali. Il termine “ragazzini” è assai prossimo a quello di “minori”: non qualificherei “ragazzino” un diciannovenne. La proposta Giachetti all’esame della Camera esclude dall’accesso “legale” alla cannabis i minori. La sua eventuale approvazione spingerebbe la criminalità a intensificare l’offerta proprio verso una platea di acquirenti al di sotto dei 18 anni. Che facciamo, per evitare “contatti”, andiamo oltre la proposta Giachetti e immaginiamo spaccio e coltivazione “legali” anche verso i minori?

 

“Ho conosciuto tante persone che hanno fumato spinelli e nessuno di loro è mai finito a consumare droghe pesanti”. Invito il dr. Cantone, se privilegia l’approccio esperenziale, a visitare qualche comunità di recupero e a farsi raccontare da chi affronta un percorso così impegnativo come è arrivato all’eroina e/o alla cocaina; ne riparliamo all’esito. Se invece si fida del contributo scientifico degli addetti ai lavori, è sufficiente che riguardi le relazioni dei vari tossicologi ascoltati dalla Commissione giustizia della Camera nelle sedute di inizio aprile 2014: non ne troverà uno che abbia negato il carattere di droga di passaggio della cannabis rispetto a stupefacenti come eroina o cocaina. Ancora: esaminando le relazioni del dipartimento antidroga della presidenza del Consiglio constaterà, emerge il recente incremento - in Europa e in Italia - di ricoveri in ospedale di assuntori di cannabis, più significativo per i minori.

 

“Sono contrario all’uso di stupefacenti (…) su questa materia non ho certezze”. Se è contrario è evidentemente perché fanno male; perché allora incrementarne la diffusione? Se non ha certezze, non dovrebbe valere la massima, ripresa dalle aule di giustizia di comune frequentazione e adattata, “in dubio pro salute”?

 

“La vera considerazione che mi ha portato a cambiare idea sono stati i miei figli: da quando sono diventati più grandi ho cominciato a guardare questo fenomeno (…) da una finestra molto diversa”. Qui una certezza c’è: che se c’è una interlocuzione seria con i figli, per quanto complicata, è il terreno migliore per approfondire insieme la questione, senza moralismi e guardando ai dati di realtà. E quindi mettendo da parte esperimenti normativi che hanno fallito ovunque sono stati realizzati.

 

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