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Don Matteo agli Emmy avrebbe fatto faville

Gianmaria Tammaro
Chi avrebbe dovuto vincere e non ha vinto. Chi meritava e s’è visto sorpassato contro ogni giustizia e senso del credibile. E basta con il politicamente corretto e la celebrazione della diversità: per essere diversi, basterebbe non volerlo così tanto.

Agli americani piace il Trono di Spade e s’era capito: gli effetti dell’accento british sugli Stati Uniti  sono devastanti. Certo è che tra i drama in gara ieri sera, alla sessantottesima edizione degli Emmy Awards, qualcosina di più l’avrebbe meritata anche The Americans, ma va bene lo stesso. Per la categoria “comedy”, è un discorso completamente diverso. Tutto ma non Veep, che è arrivato alla quinta stagione e ha perso (buona) parte della sua ironia e della sua forza, e ora, dopo essere stato doppiato, a destra e a sinistra, da Modern Family, vince un Emmy. Come si dice a Napoli: curnut e mazzuliato.

 


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Parliamo degli attori. Cuba Gooding Jr., per la sua interpretazione in O. J. Simpson v. The People, avrebbe meritato almeno una statuetta; e che dire di Jonathan Banks, che in Better Call Saul, spin-off di Breaking Bad, interpreta Mike? Completamente ignorato. Non si fa così. Bravo a Rami Malek, il protagonista di Mr. Robot: quando ha ritirato il premio, ha citato una delle battute più famose del suo personaggio (“vi prego, ditemi che lo vedete anche voi”). Se ci fosse stata la categoria per il miglior discorso, avrebbe vinto anche lì. E brava anche a Tatiana Maslany, miglior attrice protagonista per Orphan Black. Finalmente!

 

Jimmy Kimmel, nel suo monologo d’apertura della serata, subito dopo la live performance dei piccoli protagonisti di Stranger Things (recuperabile, purtroppo, solo in bassa qualità su Youtube) ha parlato di “diversità” (zeppatina agli amici dell’Academy) e di quanto piaccia agli americani “vantarsi di tenere conto della diversità”. Che, inutile dirlo, è stata ignorata anche questa volta, che è un modo di giocare d’anticipo provando ad essere sempre e comunque politicamente corretti.

 

Tornando agli Emmy assegnati: dov’era Horace and Pete, la serie fai-da-te di Louis CK? Nemmeno un premio. Zero. Ed è un peccato: perché forse si tratta di una delle comedy più innovative degli ultimi anni, prodotta e messa online dallo stesso CK, che è anche regista, scrittore e protagonista insieme a Steve Buscemi. Recuperatela: ogni episodio costa un paio di dollari. Si scarica dal sito ufficiale dello stand-up comedian.

 

Non dimentichiamoci di Master of None: che sì, va bene, ha vinto nella categoria “miglior sceneggiatura di una comedy”; ma che avrebbe meritato molto, ma molto di più – per esempio, un premio anche ad Aziz Ansari per la sua performance non sarebbe stato male.

 

È innegabile comunque che questi Emmy c’abbiano consegnato una radiografia piuttosto attendibile di quelli che sono i gusti del pubblico (e di quelli che sono i canoni di bellezza e di qualità della critica): da una parte Il Trono di Spade e dall’altra O. J. Simpson, i draghi di Daenerys Nata dalla Tempesta contro uno dei casi di cronaca più seguiti della storia contemporanea. Il nostro Don Matteo, insomma, avrebbe fatto scintille.

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