Volontari al lavoro nel centro storico di Amatrice (foto LaPresse)

Ricostruire il paese si può

Claudio Cerasa
Sappiamo che non durerà molto e che una volta asciugate le lacrime tutto tornerà come prima. Ma proviamo a fermarci per un attimo, a decollare per un istante con un drone provvisto di telecamera e ad allargare l’inquadratura guardando l’immagine offerta in queste ore dal nostro paese, ricoperto dalle macerie di uno dei terremoti più devastanti del nostro secolo.

Sappiamo che non durerà molto e che una volta asciugate le lacrime tutto tornerà come prima. Ma proviamo a fermarci per un attimo, a decollare per un istante con un drone provvisto di telecamera e ad allargare l’inquadratura guardando l’immagine offerta in queste ore dal nostro paese, ricoperto dalle macerie di uno dei terremoti più devastanti del nostro secolo. E’ un’immagine che tiene insieme sia il dramma della terra omicida che improvvisamente crolla sotto i nostri piedi sia la forza e l’orgoglio di un pezzo importante di paese che senza chiedere nulla in cambio sceglie di attivarsi come può – offrendo il proprio sangue, offrendo i propri soldi, offrendo i propri vestiti, offrendo le proprie case, offrendo il proprio sudore, offrendo gli incassi dei musei e dei ristoranti, offrendo il proprio spirito volontaristico – per donare un contributo, un soccorso, un aiuto, un sostegno finalizzato a realizzare un’azione concreta e simbolica: ricostruire l’Italia.

 

Nella storia del nostro paese capita spesso che i terremoti inneschino nell’opinione pubblica un effetto simile a quello che si genera in una pista di Formula 1 quando, dopo un grave incidente, fa il suo ingresso in pista la safety car. Le macchine rallentano. La pista viene ripulita. Le scuderie non si fanno dispetti. I piloti si fermano a riflettere su come abbassare il più possibile i rischi di gara. Forse una volta asciugate le lacrime, dopo la safety car del terremoto, tutto tornerà come prima ma nella nostra storia recente è successo più volte che i sismi, dopo aver inghiottito vite umane, abbiano restituito qualcosa all’Italia.

 

Nel 1908, dopo il terremoto di Messina, per la prima volta si formarono comitati di soccorso per la raccolta di denaro, di viveri e di indumenti sia attraverso canali organizzati (Croce Rossa) sia attraverso canali improvvisati (volontari provenienti da tutt’Italia). Nel 1976, dopo il terremoto del Friuli, a Gemona, all’interno della caserma Goi Pantanali, quartiere generale dei soccorsi della zona, nacque la Protezione civile.

 

 

Nel 2016 il terremoto che ha colpito a morte il centro Italia potrebbe essere utile ad aiutare il nostro paese ad affermare un principio cruciale: nella ricostruzione dell’Italia il metodo che funziona con più efficacia è quello che porta una classe dirigente a concentrarsi meno sulle cause di un disastro e più sulle soluzioni. Naturalmente, per individuare le soluzioni, è importante capire cosa non ha funzionato nella prevenzione di un problema. Ma l’approccio utilizzato dalla politica e dalla classe dirigente del nostro paese per affrontare un qualsiasi capitolo legato alla ricostruzione italiana tende spesso a concentrare le proprie energie sulla ricerca di un colpevole più che sulla ricerca di una soluzione.

 


I lavori di soccorso nel centro storico di Amatrice (foto LaPresse)


 

Le immagini di questi giorni – l’afflusso dei volontari, il sangue donato, la mobilitazione spontanea, persino i social network utilizzati per una volta più per informare che per insultare – ci dicono che l’Italia, quando si ritrova di fronte alla realtà di un paese da ricostruire, è disposta a fare sacrifici e a mettere in comune le proprie forze. Da un certo punto di vista il metodo pragmatico che in Italia si sviluppa spontaneamente dopo un sisma ricorda una definizione felice lanciata nel 2010 dall’ex primo ministro inglese David Cameron: la Big Society.

 

Un’espressione che alludeva a un sistema rivoluzionario (solo in parte realizzato da Cameron) attraverso il quale lo stato, permettendo a semplici cittadini di unirsi tra loro attraverso organizzazioni civiche, cercava di “creare un nuovo tipo di società fondata sul perseguimento del bene comune e del soccorso reciproco”. Se vogliamo, i terremoti dimostrano che la Big Society in Italia esiste già. Il vero punto è farla emergere e coinvolgerla con continuità. E per farlo esiste un solo modo: mettere in piedi una classe dirigente che capisca in fretta che il metodo della ricostruzione di un paese non può essere applicato solo quando ci sono di mezzo le macerie di un terremoto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.