Pescara del Tronto (foto LaPresse)

Il terremoto da Roma è sempre e solo percepito

Giuliano Ferrara
Dalla città eterna, il terrore, il dolore, l’angoscia e la disperazione non ti appartengono se non per uno spostamento di significato e di sentimento, sono metafore, in quanto romano te la sei cavata ancora una volta.

Per i romani il terremoto è una procedura stanca, che si ripete prevedibile negli anni. Arriva una scossa, la casa trema, il lampadario oscilla, specie se abiti ai piani alti e sulle rive del Tevere, tu ti spaventi, ti può succedere di uscire all’aperto facendo le scale con i tuoi cari, incontri gli inquilini delle porte accanto, gentili, abbastanza spaventati ma anche no, sei stranito perché è notte, il primo sonno interrotto dalla paura eccetera. Poi dopo qualche telefonata a parenti, Protezione civile, autorità, pensi di esserti fatto un’idea di quanto può essere successo ma sai che non è così. Il sisma è il diabolico rifugio delle peggiori sorprese.

 

Risali in casa come i coinquilini, compulsi ogni sito possibile sul web, cerchi di fare un uso utile di Twitter, ti rendi conto che un’amica sta ad Arquata del Tronto, dove volevi raggiungerla a prendere il fresco, che il terremoto è appenninico, nell’Italia centrale a cento chilometri da Roma, leggi le dichiarazioni desolate e disperate del sindaco di Amatrice, pensi alla tua amica, che poi è Nicoletta, la chiami e la trovi che ti dice incongruamente che è viva, che è in strada, che è circondata da macerie, che non può fare altro che aspettare con gli altri, fornita di un piumone, e con il suo cane al quale ha messo un cappotto.

 

Sono passati sessanta, novanta minuti dalla prima scossa delle 3 e mezzo di notte, ne arriva poi una seconda percepibile, sinistra, ondulatoria (credo si debba dire: per fortuna ondulatoria), intanto segnali su Twitter che Nicoletta porta brutte notizie da Arquata del Tronto, e passi il resto della notte a richiamare amici, a cercare di sapere che succede a Nicoletta, a vedere le prime immagini dello sfascio di Amatrice, di Accumoli e degli altri paesi o frazioni come Pescara del Tronto, a valutare inutilmente tutto. Ma il terrore, il dolore, l’angoscia e la disperazione non ti appartengono se non per uno spostamento di significato e di sentimento, sono metafore, in quanto romano te la sei cavata ancora una volta, la città come dice tua moglie è eterna, forse, non è utile a nessuno che tu sia informato nell’estremo dettaglio notturno di quello che accade, casomai servono soldi, e si vedrà domani, o sangue, ma non quello di un diabetico, chissà, provi a dormire all’alba con scarsi risultati e abbondanti cattivi pensieri. E’ stato il tuo stanco e prevedibile itinerario nel terremoto percepito, a Roma, la città dove per grazia di Dio vige solo la percezione, come quando successe all’Aquila, come altre volte, ma non la cosa, non l’orrore, non l’ordalia della terra che si muove e devasta quello che le è poggiato fragile sulla crosta, la civilizzazione.

 

Il resto sarà tremendo: la conta dei morti, la corsa alla salvezza dei sepolti vivi, il particolare dei vecchi, delle vecchie, dei bambini e delle bambine, l’idea della sciagura che si abbatte sugli indifesi naturali, sui malati e ricoverati di un ospedale. Sarà edificante: gli esempi di solidarietà, di volontariato, di intervento rapido, in sicurezza umanitaria e in piena consapevolezza, da parte di chi ha la forza di reagire e reagisce a mani nude, di chi fa il suo dovere di servizio, con i guanti, con una pratica ormai professionalizzata della solidarietà civile e della protezione degli altri. Sarà ottuso e prevedibile, come non sono prevedibili i terremoti, mai: la colpa della politica, il processo alla scienza, la mancata prevenzione, i soccorsi in ritardo, oppure l’esibizionismo, la cattiva retorica e banale, la lunga scia sismica delle stupidaggini offensive dell’intelligenza e del cuore dei cittadini che non manca mai come coda mortifera all’esplosione apocalittica delle case, del cemento, dei mattoni, della pietra, delle travi, dei tetti.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.