(foto LaPresse)

I due prof. turchi che non hanno potuto parlare al convegno a Milano

Cristina Giudici
“Io non voglio diventare un profugo in Italia”, ha detto uno dei due. E hanno deciso di rientrare in Turchia senza partecipare alla conferenza

Milano. La repressione seguita al colpo di stato fallito in Turchia ha creato un caso anche in Italia. Alla conferenza annuale dell’Associazione europea di Antropologia sociale, Easa, che si è tenuta all’Università Milano-Bicocca e ha concluso i suoi lavori oggi, dovevano intervenire due professori associati turchi che son stati richiamati in patria. Oltre al decreto del consiglio dell’Istruzione che ha vietato l’espatrio a tutti gli accademici, dopo aver licenziato e/o sospeso oltre seimila accademici, il governo di Ankara ha deciso di far rientrare tutti i professori che si trovano all’estero. Fra loro c’erano anche due nomi noti nell’Anatolia orientale: Elif Kanca e Çakir Ceyhan Suvari, dell’Università Yuzuncu Yil della cittadina curda di Van.

 

Elif Kanca avrebbe dovuto parlare della costruzione dello stereotipo di terrorista islamico e le sue conseguenze sulla società turca, una teoria che contesta il concetto di un “prototipo” di terrorista creato all’estero, soprattutto nei paesi occidentali e cristiani e non frutto di una deriva interna al paese. Trasformando i terroristi islamici in una sorta di mostro mitologico, infatti, si devia l’attenzione dal fondamentalismo religioso. Insieme a lei, alla conferenza degli antropologi europei avrebbe dovuto partecipare anche Çakir Ceyhan Suvari, un accademico di origine curda, noto in Turchia perché alcuni mesi insieme con molti accademici e intellettuali ha firmato un appello contro il presidente Erdogan in nome della pace, della difesa diritti civili e laici. Suvari avrebbe dovuto parlare di una sua ricerca sui massacri della minoranza etnica e religiosa degli yazidi condotta sul campo in Iraq, e spiegare, attraverso una retrospettiva storica, come mai proprio gli yazidi sono tra gli obiettivi dagli islamisti dell’Is.

 

Entrambi laici, Kanca e Suvari hanno vissuto due giorni di straziante travaglio, prima di decidere di rientrare in Turchia e affrontare la rabbia del regime che vuole epurare un’intera generazione di accademici. Il Foglio li ha incontrati prima della loro partenza. “Io non voglio diventare un profugo in Italia”, ha spiegato Cakir Ceyhan Suvari. “Anche se inclusi noi, diciassette professori della nostra università, compreso il rettore, sono stati sospesi temporaneamente, abbiamo deciso di tornare a casa come ci è stato chiesto dal governo, senza partecipare alla conferenza. La mia missione di studioso e difensore dei diritti civili e laici non si deve fermare”, ci ha detto con un’espressione apparentemente calma.

 

Seppur consapevole dei rischi a cui va incontro, rientrando. Pur sapendo, ci ha spiegato lui stesso, che ora in Turchia ci sarà una deriva integralista islamica di immensa portata. L’incontro è durato poco perché entrambi i professori avevano ansia di tornare e vedere cosa li aspettava. E’ stato Marcello Mollica, ricercatore del progetto Levi Montalcini dell’università di Pisa, specializzato nello studio delle minoranze etniche e religiose, l’arduo compito di spiegare ai partecipanti del seminario i motivi politici per cui i due professori sono stati richiamati in Turchia e perché hanno deciso di rientrare. La loro assenza alla conferenza ha creato sconcerto, ma per ora l’università della Bicocca non ha fatto trapelare ciò che accaduto, ma si è limitata a condannare la repressione nei confronti degli accademici licenziati. Alla fine della conferenza che si chiude oggi, l’Easa farà un comunicato ufficiale contro queste ulteriori violazioni dei diritti umani contro gli intellettuali che si oppongono al regime turco e, ci auguriamo, anche contro la deriva integralista del governo guidato ancora con il polso di ferro  da Recep Tayyip Erdogan.

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