La ricercatrice e deputata Ilaria Capua

Gli ozi di Capua del garantismo

Luciano Capone
Intercettazioni a ciclo continuo: i giornaloni sparano in prima quelle fresche, mentre a pagina 20 finiscono le “vittime” degli ascolti che furono. Nel mezzo, sei colpevole fino a prova contraria. La scienziata mascariata dall’Espresso.

Roma. Gira tutto attorno all’intercettazione: l’informazione, la politica, la giustizia, la reputazione delle persone. L’intercettazione aggiunge e toglie, ma non restituisce mai, anche dopo un’assoluzione, perché sempre macchia. Così proprio in questi giorni gli stessi quotidiani che nelle prime pagine descrivono una nuova cricca sulla base delle intercettazioni delle procure, verso pagina 20 raccontano la storia di Ilaria Capua, la ricercatrice e deputata appena prosciolta dopo oltre due anni di fango mediatico-giudiziario. Perché funziona così: con la pubblicazione delle intercettazioni scatta immediatamente la condanna (basta essere solo citati) e dopo il proscioglimento resta il mascariamento, al massimo tutto si dissolve nell’oblio, oppure, se va proprio bene, dallo status di colpevole in attesa di giudizio si passa a quello di vittima. Nel mezzo, la presunzione di innocenza del cittadino e un minimo sindacale di garantismo non esistono. E’ ciò che è successo a Ilaria Capua, scagionata da infamanti accuse oltre dieci anni dopo l’inizio delle indagini e due anni dopo la copertina dell’Espresso che l’ha inchioda nel ruolo di untrice: “Trafficanti di virus” era il titolo del settimanale che anticipava il contenuto dell’“inchiesta top secret della procura di Roma sul traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli” e “pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie”. La firma è quella pesante di Lirio Abbate, pluridecorato giornalista antimafia, che svela il contenuto dell’indagine del procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e rivela a una quarantina di persone, tra cui la Capua, di essere accusati di associazione per delinquere, corruzione, ricettazione e diffusione di epidemia, un reato punibile con l’ergastolo. La virologa, scriveva Abbate, era una “trafficante di virus” che operava all’interno di un “business delle epidemie” che seguiva una “cinica strategia commerciale”. In pratica anche a Ilaria Capua stava bene la definizione che il pm Diego Marmo realizzò su misura di Enzo Tortora nel 1984: “Cinico mercante di morte”. Le prove? Tutte nelle intercettazioni.

 

Non viene il dubbio che, su un tema così specifico, alcune conversazioni estrapolate e interpretate chissà come non siano prove solidissime. Non viene il dubbio che Ilaria Capua, virologa conosciuta a livello mondiale per aver scoperto la sequenza genetica di un ceppo dell’aviaria, vincitrice di riconoscimenti e premi internazionali per le sue ricerche, non c’entri nulla o quantomeno possa spiegare.  Non c’è nulla da spiegare, è tutto chiaro, ci sono le intercettazioni. A Lirio Abbate il dubbio non viene perché, come scriveva nel 2010 in un ritratto del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, dal titolo “C’è un giudice anche a Roma”, siamo di fronte a un magistrato che è “il primo ad arrivare la mattina, l’ultimo a chiudere la porta. Evita le telecamere e spesso depista i giornalisti per difendere il segreto sui procedimenti. Non ama teoremi”. Sui teoremi ci sarebbe da andare cauti visto che Capaldo è lo stesso magistrato del processo Fastweb, costato all’innocente Silvio Scaglia oltre un anno di carcere e domiciliari e a Stefano Parisi, anch’egli prosciolto, le dimissioni da amministratore delegato per evitare il commissariamento dell’azienda. E anche sulla proverbiale segretezza qualcosa deve essere andato storto se l’inchiesta sui “trafficanti di virus” è finita sulla scrivania di Abbate e da lì sulla prima pagina dell’Espresso. Da lì parte il tritacarne politico-mediatico-giudiziario, con il Movimento 5 stelle che invoca le dimissioni dalla Camera della Capua, la procura che conferma la propria inchiesta e l’Espresso che conferma che la procura ha confermato: “La cupola dei vaccini esiste. La procura di Roma chiude le indagini e conferma le rivelazioni de l'Espresso sui trafficanti di virus”.

 

Secondo questo castello di intercettazioni tenuto in piedi da procura, giornali e politici vari, la Capua, che all’epoca dei presunti reati era responsabile del dipartimento di Scienze biomediche dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, sarebbe stata il perno di un’associazione a delinquere che insieme a società farmaceutiche e funzionari pubblici tramava per trafficare con i virus per guadagnare dalla vendita di vaccini. E’ una “svolta affaristico-commerciale” che gonfia il rischio di epidemie, “dietro cui si potrebbe celare una strategia globale ispirata dalle multinazionali che producono i farmaci”. Si tratta di ipotesi di un complotto internazionle, su un tema scientifico complesso, basate su intercettazioni e indagini piene di errori. Naturalmente, mentre il processo veniva spacchettato in diverse procure italiane senza che gli indagati riuscissero a difendersi, la ghigliottina mediatica è scattata subito: un gruppo di ricerca è stato smembrato, le vite di molte persone rovinate e la carriera professionale e politica di Ilaria Capua azzoppata. La scienziata collusa con Big Pharma, la capa della “cupola dei vaccini”. Poi sono arrivate le dimissioni dalla Camera, come anticipato a fine maggio da Paolo Mieli sul Corriere della Sera ricostruendo la sua assurda vicenda, per andare negli Stati Uniti a dirigere un centro d’eccellenza, l’One Health della University of Florida. Così l’Italia ha perso una ricercatrice di prim’ordine e una deputata in un Parlamento pieno di signor nessuno che gridano “onestà” e credono alle scie chimiche. Il proscioglimento, che ha liquidato l’inchiesta di Capaldo, è arrivato in ritardo. E non è servito neppure a convincere Lirio Abbate che adesso, nel dare notizia del non luogo a procedere, tira fuori altre intercettazioni con i genitori della Capua, definita ancora “signora dei virus”: “Capua prosciolta. Ma le intercettazioni svelano il grande business”. Il fatto non sussiste, ma l’intercettazione sì. E’ questo il virus che non si riesce a debellare.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali