(foto EPA)

insalexit non ci avrà

No, l'Ue non vieterà l'insalata in busta. Ma farà guerra ai cuscinetti ad aria

Michele Masneri

Il regolamento ammazza-insalate confezionate sembrava confermare i peggiori stereotipi sulla crudele Unione europea, ma si insinuava subdolamente anche tra noi euroentusiasti. Per fortuna era tutto falso

Era un attimo. Eravamo già sul piede di guerra anche noi europeisti della prima ora. Toglierci le insalate in busta? Siamo pronti a Insalexit. Le notizie circolate negli ultimi giorni, secondo cui la crudele Bruxelles  vorrebbe proibire, appunto, le cosiddette verdure di quarta gamma, cioè l’insalata impacchettata che aprendola sprigiona quella nube di gas vagamente alcolica che ci inebria, non sono vere.

 

L’allarme è stato lanciato dalla Coldiretti, forse rimbalzato su Bot russi, atterrato nelle nostre giornate già rese ansiose dal cambio di stagione. Ma come, abbiamo pensato tutti noi che viviamo in città e che abbiamo il lavello monoforo Ikea e non ci siamo mai dotati della centrifuga lavaverdura (quella che a un certo punto fa un rumore come di aereo in decollo). Ma come, noi, europeisti appunto, turboatlantisti, filoucraini, adoratori dell’euro e del Pos, ma come, perché,  questo colpo basso proprio a noi? L’insalata in busta è parte del nostro essere occidentali, liberi, indipendenti. Abbiamo sbagliato tutto! Ma allora non è vero che siete buoni (come Fantozzi quando scopre Marx col compagno Folagra). 


Falso allarme. La legge in questione, anzi la proposta di regolamento europeo, a parte che è di novembre scorso, ed è una proposta, mira semplicemente a ridurre l’uso scriteriato di imballaggi non solo per frutta e verdura ma per tutto.  Del resto il 40 per cento della plastica e il 50 per cento della carta consumati nel territorio Ue ogni anno vanno per gli imballi, che oltretutto producono il 36 per cento dei rifiuti. E’ chiaro quindi che la situazione va risolta (il regolamento prevede il ricorso a imballaggi compostabili e riciclabili). 


Nello specifico, per frutta e verdura, si vieta la plastica per pacchi sotto il chilo e mezzo, ma c’è un’eccezione ove sia dimostrato che l’imballaggio “è necessario per evitare uno shock fisico”, cioè che il cibo si acciacchi, o si rovini. Insomma, la nostra busta di insalata (anche nelle varianti con olive e carotine atrofizzate e rinsecchite) è salva. Non solo: il regolamento europeo  va pure a colpire finalmente un’altra piaga che affligge noi professionisti urbani, fascia alta dei morti di fame. Quella del packaging dei libri. In particolare debellerà gli  “air cushion”, i cuscinetti d’aria, e altri distanziatori come il polistirolo o il “pluriball”, le bolle che da bambini scoppiavamo; che saranno trattati alla stregua di spazio vuoto, che l’Europa intende perseguire, che deve essere ridotto al minimo nei pacchi.

 

Caso vuole che tutti questi distanziatori e nello specifico gli “air cushion” siano  il male assoluto per chi scrive e forse per una specifica nicchia di persone. Non per chi riceve libri comprati su Amazon (Bezos mica è scemo, lui gli sprechi li vuole ridurre da mo’). No, per una nicchia ancora più nicchia. Chiunque sfortunatamente sia stato giurato di un qualche premio letterario o scriva di libri o finisca per altri motivi nelle mire degli editori sa che la sua vita da quel momento sarà un continuo indignarsi per il packaging. Ho visto negazionisti climatici diventare sfrenati attivisti di Greenpeace una volta entrati nelle giurie dei libri. Si sa che ogni giorno in Italia ne vengono stampati migliaia, ma nessuno protesta mai per come ti arrivano a casa. 

 

Eppure tutti noi riceviamo costantemente scatoloni che potrebbero contenere televisori (del vecchio tipo, a tubo catodico) da 40 pollici, poi apri, dentro c’è un altro scatolone più piccolo, poi un altro ancora, poi uno ancora, alla fine c’è una scatola che potrebbe contenere dei cioccolatini (ma pochi, una dozzina al massimo). Ma attenzione, per impedire che la scatola finale col suo prezioso contenuto possa sbattere e distruggere il prezioso contenuto, la scatola da cioccolatini è arginata appunto dagli air cushion di plastica che appunto servono da protezione. Arrivati a questa fase dell’unboxing, con la casa piena di cartoni e air cushion da smaltire e la curiosità alle stelle, aprirete l’ultimo pacco (il giurato non è certo si tratti di libri, gli editori e soprattutto i distributori efferati non scrivono fuori quasi mai il mittente, il pacco arriva anonimo come quando ordini il Viagra).

 

Il giurato a questo punto è accovacciato a terra, si è dotato da tempo di guanti e cesoie che manco Giulia Maria Crespi, perché tutti questi strati sono tenuti insieme da un resistentissimo legaccio di plastica, che neanche Primo Carnera riuscirebbe a strappare a mani nude. Tranciato l’ultimo cavo, ecco che il pacco da 1 metro per lato rivela il suo prezioso contenuto: un volume-uno dell’ultima uscita della collana poesia Einaudi (bellissima, disegnata ai tempi da Bruno Munari, fondo bianco,  si disse che all’inizio Giulio Einaudi fosse perplesso, poi tirò personalmente un tratto di penna, sotto il titolo, e nacque “la bianca”). Ora, il peso della “bianca”, sarà sui cento grammi. Dimensioni, cm 11x18.  Dimensione dello scatolone che ti arriva: appunto un metro per un metro per un metro. Peso, cinque chili. Molti cuscinetti ad aria tipo airbag, non sia mai che il libretto, peraltro già avvolto in una cortina di inviolabile cellofan, sbatta.


Lo stesso impacchettamento a matrioska non è oltretutto prerogativa degli editori blasonati, è interclassista, riguarda anche collane e case editrici minori, anche quelle a pagamento di Teramo o Brescia (quando si è giurati di premi letterari oltre all’essere partecipi della distruzione delle foreste si viene a conoscenza anche di un’altra amara realtà, quella della  galassia di editori di poesia sconosciuti, più numerosi dei regolamenti europei). Chi scrive si è dimesso da premi letterari per motivi di real estate, non avevo abbastanza metri quadri in casa  per gli imballi che arrivavano, specialmente le edizioni di poesia. E poi: dopo l’unboxing devi pulire la scena del crimine, sparsa di brandelli, polvere, frammenti di imballaggio. E i cuscinetti d’aria, come smaltirli? Saranno plastica o saranno indifferenziato?  


Ma ora l’Unione prevede che gli “air cushion” e i loro simili andranno ridotti all’osso. Un sospiro di sollievo. Questa è l’Unione che vogliamo. Speriamo che il regolamento venga approvato al più presto. Il regolamento ammazza-insalate in busta sembrava confermare i peggiori stereotipi sulla crudele Unione, ma si insinuava subdolamente anche tra noi euroentusiasti, era la versione “misura dei cetrioli” per quelli col PhD, la “curvatura delle banane” per le ztl. Per fortuna era tutto falso, Lo sapevamo che l’Europa era buona, lo sapevamo che non potevamo essere dalla parte sbagliata della storia (e dei pacchi).
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).