Sepolta, cioè persona

La bambina del Mesolitico scoperta ad Albenga

10 mila anni fa nessun neonato veniva gettato via

Maurizio Crippa

Il rinvenimento della neonata morta a 6 o 7 settimane, millenni fa, permette di capire quanto fosse tenuta in conto l'esistenza di ogni persona, anche le più piccole. La prima “manifestazione della sensazione che la morte prematura sia una cosa innaturale cui dedicare un rituale diverso dalla norma”

Aveva quaranta o cinquanta giorni, e sessanta piccole conchiglie forate a una a una: una collana tutta per lei. Non si chiamava Neve, il nome le è stato dato adesso dagli studiosi: un nome di cosa sufficientemente comune da non appartenere a nessuno in particolare. Come Mtoto, che in swahili significa bambino: altro nome neutrale e generico dato a un impossibile compagno di giochi  di Neve (era più vecchio di 70 mila anni) morto a due anni e trovato qualche mese fa in Kenya. Avvolto in un sudario, con la testa appoggiata su quel che era stato un cuscino. Non si chiamava Neve, ma è una bambina vissuta quasi 10 mila anni fa in Liguria e di certo un nome le era stato dato, a qualcuno sarà di certo appartenuta. Ai genitori, al clan. Non si spiegherebbe altrimenti che ne abbiano avuto cura, per quelle poche settimane, e che sia stata considerata “persona a pieno titolo” tanto da meritare una sepoltura per sé, accompagnata da una collana di conchiglie, da quattro ciondoli e da un artiglio di gufo reale, forse per portafortuna. Neve è vissuta nella prima fase del Mesolitico, poco dopo la fine dell’èra glaciale, ed è stata trovata in una grotta sopra Albenga da un team di studiosi italiani – Stefano Benazzi dell’Università di Bologna, Fabio Negrino (Genova), Marco Peresani (Ferrara) – e internazionali. Non è l’unica sepoltura nota di bambini molto piccoli, ma è la più antica di una neonata mai documentata in Europa.  


Per gli studiosi di paleoantropologia, per i genetisti, per gli etnologi che cercano di ricostruire da pochi frammenti la complessità di intere formazioni sociali e addirittura il loro collettivo rapporto con la morte, il ritrovamento della sepoltura di Neve è di grande importanza. Quello che però  stupisce particolarmente è la piccolissima età. La cura nonostante quell’età. Sei, sette settimane (una misurazione del tempo umano che ormai, involontariamente ma inesorabilmente, associamo al limite estremo per l’aborto texano). Una aspettativa di vita sufficiente, in paesi come il Belgio, per somministrare la dolce morte “nel loro miglior interesse”. Diecimila anni fa, quando la mortalità generale e i patimenti infantili erano senz’altro maggiori di quelli di Liegi, nelle spelonche di Albenga uomini e donne che cominciavano appena a sbozzare la civiltà erano già consapevoli del valore di quelle piccole, trascurabili vite. La scoperta di quella sepoltura “testimonia come tutti i membri della comunità, anche piccole neonate, erano riconosciuti come persone a pieno titolo e godevano in apparenza di un trattamento egualitario” ha detto Stefano Benazzi, paleoantropologo dell’Università di Bologna.


Lo studio pubblicato ieri da Scientific Report ha permesso molte altre scoperte sull’organizzazione sociale del Mesolitico. Ma è sorprendente come l’elaborazione del rapporto con la vita e la morte fosse già così consapevole, e dunque non si tratti per nulla del portato successivo di filosofie o di religioni scritte nei libri. Paul Pettitt  dell’Università di Durham in Gran Bretagna, uno degli studiosi che avevano ritrovato Mtoto, spiegava: quei gruppi di cacciatori-raccoglitori già “moderni” ritenevano “la morte un evento naturale e inevitabile, ma con due eccezioni: la morte traumatica e la morte di neonati e bambini”. Forse, 70 mila anni fa, era la prima “vaga manifestazione della sensazione che la morte prematura sia una cosa innaturale cui dedicare un rituale diverso dalla norma”. E da evitare se si può. Sei, sette settimane.
 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"