Meryl Streep e Jeffrey Wright in una scena di "The Laundromat", un film Netflix basato sui cosiddetti Panama Papers 

L'ultima generazione in A4

Il super green pass e la nostalgia dell'autocertificazione (di carta)

michele masneri

L'ennesima frizione tra le due anime del paese: non i Pro vax e i No vax, bensì il popolo del cartaceo contro il popolo del digitale

Insomma ecco in arrivo il super green pass, e quest’ultima innovazione rischierà un’ennesima frizione tra le due anime del paese: non già e non tanto i Pro vax e i No vax, bensì quella più profonda e più trasversale: popolo del cartaceo contro popolo del digitale, frattura che viene da ben più lontano. I due popoli si tollerano, si studiano, convivono. La classe oggi più vituperata, i boomer, fin dall’inizio ha preferito il green pass in forma cartacea. Li si può vedere nei cinema più riflessivi, alle proiezioni in lingua originale del sabato pomeriggio, con in tasca non l’Unità ma il green pass stampato e magari racchiuso in una cartellina di plastica, pronta da esibire.

     

Il green pass cartaceo ha sostituito o accompagna il biglietto del treno: altro caso in cui esiste una spaccatura profonda tra quelli che portano il “titolo di viaggio” in A4 e quelli generalmente più giovani che mostrano il telefono o addirittura comunicano la penultima cifra, dicendo “sette” o “ypsilon”, al controllore, tra lo sgomento dei boomer vicini, che non capiscono cosa stia succedendo (e i boomer veterotestamentari addirittura con la stampata del biglietto, cartaceo ovviamente, fatta dall’agenzia). 

   

I millennial, invece, il green pass l’hanno da sempre sul telefono, sotto forma di screenshot, e lo mostrano senza sforzo, anzi orgogliosi (taluni poi scambiandoselo: “Ah, Camilla non esce stasera? Allora usiamo il suo: tanto poi la verifica del documento di identità, insieme al green pass, è un’evenienza più rara di una rete internet funzionante nel paese del cartaceo). E i famigerati della generazione Zeta? Addirittura lo hanno nel wallet, tra le carte digitali

   

Sono gruppi sociali frastagliati, peraltro: e frequenti sono i giovani nostalgici che girano col green pass cartaceo, magari anche nella versione pressofusa plastificata, tipo menu o permesso Ztl, che ha richiesto l’intervento di un cartolaio attrezzato, o invece i boomer super tecnologici, dotati di Apple Watch con cui “tappano” anche l’ingresso della metropolitana, o ancora i millennial con screenshot, che però lo devono recuperare nel rullino delle foto, e si riducono all’ultimo, causando malumori, intasando file, e magari nella fretta mostrando immagini zozze al controllore. Che a Roma non potrà che concludere: “Ahò, too potevi stampa’”. Mentre in Business, sul Freccia, ceo autopercepiti chiamano la segretaria, per farselo rimandare. Ma non c’è mai campo.

 

Insomma, è chiaro, meglio sempre la carta, e sorge persino il dubbio che, nel paese della grande tradizione del certificato, del modulo, del diploma, parte della rabbia contro il green pass tema le limitazioni non alla propria libertà ma alla propria creatività. Lo scarno Qr code nella sua dimensione fredda e numerica è infatti un attentato all’estro compilatorio italiano.

 

Tutto il contrario delle belle autocertificazioni (ve le ricordate?) da stampare e fotocopiare all’infinito, in cui si era liberi di spaziare, nella bella lingua della Pa, e il minimo era un “faceva rientro alla propria abitazione”, per dire: andava a casa. Saltano fuori dalle tasche in questi giorni nel cambio di stagione, queste deliziose madeleine covidiche. Ci ricordano i treni presi, le finte corse al parco, quando ci si voleva podisti. I più giovani non lo sanno, non lo sospettano, che di questo passo saremo l’ultima generazione in A4 (e del resto, tra gli ultimi atti del suo mandato, anche Mattarella ha voluto tranquillizzare il paese, provando in diretta la nuova anagrafe digitale, mentre la telecamera presidenziale zoomava rassicurante su una stampante, la vera fabbrica dei sogni italiana).