Foto LaPresse

Gino Strada e la sua Afghan theory

Maurizio Crippa

Il fondatore di Emergency è morto a 73 anni. Per lui l'Afghanistan era il paradigma nefasto di tutte le guerre e di tutti gli espansionismi neocoloniali. Un onesto dissenso

Andarsene all’improvviso, nel giorno in cui la Stampa pubblica il tuo intervento definitivo, che tutti celebreranno, è un dono che la vita riserva a pochi, e vogliamo pensare che lo riservi a quelli che hanno vissuto bene, di coraggio e faccia al vento, generosi di sé e con gli altri. Definitivo non perché sarà ormai l’ultimo di una carriera anche pubblicistica, ma perché a tema era l’Afghanistan, seconda patria elettiva, ed è la summa condensata delle sue idee: morali e politiche, prima ancora che visionarie o analitiche. L’Afghanistan per Gino Strada, morto a 73 anni in Normandia, non era soltanto il luogo di una delle sue più impegnative attività umanitarie – fondata nel 1994, Emergency aveva aperto a Kabul il primo dei suoi tre ospedali, cui seguirono un centro di maternità e pediatria, nel 2003, e una ampia rete di primo soccorso – perché dal 2001, dall’inizio della guerra contro il terrore che aveva colpito l’occidente proprio partendo da quelle montagne, l’Afghanistan era diventato per Strada il paradigma nefasto di tutte le guerre e di tutti gli espansionismi neocoloniali. Oggi aveva ripreso il suo discorso dall’inizio: “La guerra in Afghanistan è stata, né più né meno, una guerra d’aggressione”. 

Sulla partecipazione alla guerra americana dell’Europa, dell’Italia, di tutti i suoi governi e di quasi tutte le sue forze politiche Strada aveva tracciato una linea di divisione, insindacabile e invalicabile. Ne ha fatto per vent’anni il fulcro di una complessiva visione, anche se poi il lavoro umanitario e medico, encomiabile, della sua ong (dal 1999) continuava a svolgersi e a crescere nel resto del vasto disastrato mondo e persino in Italia. Negli anni la sua polemica, la sua Afghan theory potremmo dire, gli ha guadagnato le simpatie, e le strumentalizzazioni, di una politica e di un’opinione pubblica spesso meno schiette e meritevoli di lui.

Il Foglio non ha mai apprezzato né condiviso le sue posizioni: né politiche né persino di etica sincera ma un po’ facile, fatto salvo ovviamente l’encomio per il suo impegno umanitario. Negli anni della guerra al terrore è stato spesso bersaglio polemico così come, crediamo, il Foglio è stato per lui una casamatta nemica. Non gli faremo il torto oggi – con Herat caduta e Kabul che trema in conseguenza di un calcolo sbagliato, se non puramente cinico, degli Stati Uniti – di non riconoscergli una parte di vero e di ragione, quando affermava che vent’anni di guerra e centinaia di migliaia di morti hanno lasciato il paese in una situazione tragica, forse perché un’idea di pace non c’è mai stata. Quello che continueremo a contestare è avere negato che ci fosse un dovere di intervento e di autodifesa. Diceva “non sono pacifista, sono contro tutte le guerre”, sbagliava negando che alcune guerre, senza essere sante, sono necessarie.

Strada è stato anche bandiera di un mellifluo e spesso strumentale irenismo, non all’altezza dell’uomo sincero che è stato. Ma Gino Strada non è stato solo questo, la sua Afghan theory. E’ stato attivista politico nella Milano sessantottarda, medico con la Croce Rossa in zone di guerra. Emergency nacque proprio per la riabilitazione delle vittime delle mine antiuomo. Il primo progetto fu in Ruanda, la chirurgia dell’ospedale di Kigali. Da allora ha curato 11 milioni di persone in 19 paesi, ha costruito ospedali, centri di riabilitazione, centri pediatrici. Una crescita anche professionale e manageriale: un bilancio superiore ai 40 milioni di euro, in gran parte sostenuto da enti come l’Onu e da progetti di cooperazione internazionale. Fa parte dell’icona di Strada anche la sua milanesità, il suo essere amato paladino di una sinistra che da Massimo Moratti (grande interista, Strada) a Giuliano Pisapia al mondo della cultura e dello spettacolo ha sempre costituito “l’altra sinistra” milanese. Finì selezionato per le Quirinarie dei 5 stelle, non fu colpa sua ma si levò d’impiccio all’ultimo momento. Capita, alle vite generose.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"