In ricordo di Angelo Del Boca

Maurizio Stefanini

Fu il massimo storico del colonialismo italiano e il suo critico più radicale

Morto martedì nella sua casa di Torino a 96 anni, Angelo Del Boca è stato, assieme, il massimo storico del colonialismo italiano e il suo critico più radicale. Per questo in certe aree politiche è stato idolatrato, e in altre avversato. Ma anche lui quando aveva dieci anni andò in piazza a festeggiare l'inizio della seconda guerra d'Africa. “Non escludo che uno dei motivi che mi hanno spinto ad occuparmi dell'aggressione fascista all'Etiopia, con l'intento di ristabilire la verità dei fatti, sia proprio il ricordo della bottiglia di benzina con la quale, la notte del 2 ottobre 1935, ho irrorato il manichino in cartapesta di Hailè Selassiè”. Lo aveva rievocato nei suoi libri, ma lo raccontò anche all’autore di queste note, in una delle due interviste che ebbe la ventura di fargli. Molti anni fa, prima ancora che iniziasse a uscire il Foglio. E entrambe le volte disse cose sorprendenti, per chi volesse catalogarlo per stereotipi.

    

La prima, nel 1992, fu a proposito della Somalia, precipitata dopo la caduta di Siad Barre in una guerra civile che da allora in pratica non si è più conclusa. E lui lì si dichiarò senza problemi a favore della missione Onu Restore Hope, anche se comportava il ritorno dei militari italiani nell’ex-Africa Orientale. Riconosceva che era effettivamente un tentativo di “restaurare una speranza”, anche se poi in effetti il caos somalo si rivelò al di sopra “sia delle maniere alla Rambo degli americani sia di quelle alla Machiavelli degli italiani”, per dirla con una battuta di Indro Montanelli.

   

La seconda, nel 1995, fu nell’anniversario dell’attacco di Mussolini all’Etiopia. Lì reiterò la sua critica all’idea di De Felice secondo cui l’impresa era nata dalla circostanze, ricordando i “riscontri oggettivi. Una lettera del 1925, in cui Mussolini manifesta l'intenzione di smembrare l'Etiopia. Una confidenza a De Bono del 1932, in cui gli dice di prepararsi a comandare l'invasione”. Gli avevo ricordato che Mussolini nel frattempo aveva anche venduto al negus armi in quantità. Rispose che “era un machiavellico. Da parte sua c'era stata premeditazione, ma anche sfruttamento della situazione. Lasciandosi aperte tutte le strade, riuscì a cogliere con abilità il momento in cui la Germania non era ancora troppo forte, e gli anglo-francesi speravano di mantenere l'Italia nel fronte antitedesco”.

    

Ovviamente, riprese anche la storia dei gas. Era la annosa polemica con Indro Montanelli, che in seguito si sarebbe risolta con l’ammissione di Montanelli che Del Boca aveva ragione. Onore delle armi, Del Boca nel 2010 avrebbe curato poi la riedizione di XX Battaglione Eritreo: la testimonianza sulla sua partecipazione alla guerra del 1935-36 come ufficiale di truppe indigene, con cui Montanelli iniziò a diventare famoso ed ebbe il biglietto da visita per entrare nel Corriere della Sera. Appunto nell’Introduzione Del Boca raccontava della sua relazione con Montanelli, delle lunghe polemiche e della finale riappacificazione. Ma qua non si può che consigliare la lettura di quella pagine. A sua volta in quella intervista, rilasciata poco prima di quella conclusione, Del Boca ammetteva che se la propaganda italiana aveva a lungo negato l’uso dei gas, d’altra parte quella storia era stata esagerata ad arte dalla stampa internazionale e dagli stessi etiopici per giustificare una vittoria italiana che nessuno aveva previsto? “La vittoria italiana fu merito della superiorità dell'artiglieria, dell'aviazione e della logistica”. E qui venne un’altra battuta sorprendente sul “grande generale e grande artigliere” Pietro Badoglio, artefice militare di quel successo. Dovetti fare io una ulteriore osservazione sui cui convenimmo, che le doti militari del maresciallo avevano però avuto un evidente limite nella sua facilità a perdere la testa in situazioni di emergenza: da Caporetto all’8 settembre.

   

“È proprio per questo che critico Mussolini”, mi aveva aggiunto. “Avrebbe potuto benissimo conquistare l'Etiopia lo stesso senza usare un'arma che, oltre ad essere inumana, lo esponeva anche alle accuse dell'opinione pubblica internazionale”. Alla fine dell'intervista ammise che sicuramente oltre a tante ombre il colonialismo italiano aveva avuto le sue luci. “Lo ammettono ormai tranquillamente gli stessi storici etiopici. Basti pensare che la rete stradale etiopica è ancora quella costruita dagli italiani. E poi fu grazie agli italiani se l'Etiopia ha conosciuto per la prima volta un sistema sanitario moderno, un'agricoltura moderna, una pubblica amministrazione moderna”.