Nicolas Cage, Gina Gershon, John Travolta, Joan Allen in Face Off - Due facce di un assassino

Quanti dispetti si possono tollerare nel fuoco amico delle sinistre? Un mojito, fate presto

Paola Peduzzi

Offensive in stile metoo, tradimenti, faide e leak. La sinistra americana non sta molto bene. Nemmeno quella europea a dire il vero

Nelle pulizie primaverili è saltato fuori un numero del New York Magazine con Hillary Clinton in giallo che guarda verso il titolo: “Lei sta bene. E tu?”. Era la fine di maggio del 2017 e Rebecca Traister, che seguiva la Clinton dal 2008, era andata a vedere se Hillary si fosse ripresa dalla sconfitta del 2016, scoprendo che lei stava relativamente bene, ma la sinistra americana proprio no. Sono passati due anni da quella copertina, non sappiamo come sta Hillary – è sempre battagliera, a vederla da qui – ma certamente la sinistra americana non sta bene, nemmeno quella europea a dire il vero. Ogni giorno i giornali raccontano di qualche regolamento di conti tra i liberal statunitensi, dove tra le tante candidature in vista del 2020 e un’infinità di tempo a disposizione prima delle primarie ci si muove per sgambetti, dispetti, affaracci che ritornano, fratture che si approfondiscono, come se la sconfitta del 2016 non fosse servita a nulla se non a incattivirsi ancora di più.

   

Nelle ultime settimane abbiamo visto la candidatura dell’ex presidente Joe Biden messa in discussione da denunce di annusamenti inappropriati di capelli: Biden dovrebbe comunque candidarsi, l’annuncio è previsto per domani, ma molti sono ormai convinti che a guidare l’offensiva contro di lui in stile metoo (ma senza le violenze, quindi metoo forse non vuol dire più nulla) sia stata la campagna di Bernie Sanders, il sereno vecchietto del Vermont che rappresenta la domanda irrisolta del 2016: lui l’avrebbe battuto, Donald Trump? Il principale indiziato di questo fuoco amico con dossieraggi è il capo della campagna di Sanders, Faiz Shakir, che nasce nel mondo clintoniano e che già nel 2016 era passato, inizialmente in modo informale, nel campo di Sanders.

 

Il “tradimento” è documentato nelle email che abbiamo potuto leggere tutti grazie alla solerzia di Julian Assange e Wikileaks, che come si sa si è tenuto per sé i documenti sulla Russia in Ucraina – dove ci sono stati diecimila morti – ma s’è votato alla trasparenza completa sul Partito democratico. Ebbene, in quelle email, Shakir è definito “un pezzo di merda” da Neera Tanden, clintonianissima presidente del Center of American Progress, che però aveva già parecchia acrimonia accumulata: nel 2008, quando Shakir era il direttore del sito ThinkProgress, il notiziario del Center for American Progress, aveva ricolto una domanda a Hillary sull’Iraq che aveva fatto parecchio clamore – l’Iraq era un tema che la metteva molto in difficoltà visto che aveva sostenuto l’intervento militare – e la Tanden aveva reagito male, c’è chi dice che lo avesse colpito, lei dice di averlo spintonato.

 

La vendetta è un piatto ghiacciato e così all’inizio di aprile, quando Sanders ha pubblicato la sua dichiarazione dei redditi e s’è scoperto che è molto ricco, Think Progress ha fatto un video ironico che infilava Sanders, il paladino dell’antisistema, nel gotha dei milionari americani. Sanders si è arrabbiato, ha scritto una lettera denunciando il fuoco amico, ma le scaramucce continuano, con l’aiuto anche dei giornalisti che sono immersi in questo scontro da talmente tanto tempo da dover essere sempre più creativi: il New York Times, ricapitolando la faida tra Sharif e la Tanden, ha intervistato anche la madre di quest’ultima, che ovviamente dice che la figlia “sa essere davvero molto aggressiva”.

  

A parte le faide personali, Sanders ha già da tempo ingaggiato una guerra permanente contro il mondo Clinton, inteso in senso allargato, quindi comprende anche Biden. Alle primarie si vedrà se questa strategia paga, ma intanto l’attivissima campagna Trump mette da parte spunti e idee che torneranno presto utili.

  

 

“Lei sta bene, e voi?”. Mica tanto, nel vedere la corbyiniana Diane Abbott, sinistra inglese molto radicale, che beve un mojito dalla lattina in metropolitana, l’istinto ha esultato: fosse un mojito un pochino più buono, anche meglio. La Abbott si è dovuta scusare, perché bere alcolici in metropolitana è illegale, e pure in questa faida l’ideologia ha avuto la meglio sul buon senso, anche se ritrovarsi dalla parte della Abbott, fosse solo per un giorno, fa davvero strano.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi