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La solitudine del Regno Unito

Paola Peduzzi

La commissione Jo Cox ha presentato un report che racconta i sentimenti degli inglesi, la neve e soprattutto la Brexit

C’è un’epidemia di solitudine nel Regno Unito, gli inglesi se ne stanno per i fatti loro, escono meno, si incontrano meno, persino i pub sono un pochino più vuoti. Non c’è un legame diretto con la Brexit, la solitudine si costruisce nel tempo, non bastano quasi venti mesi di pre divorzio per creare un’epidemia, ma certo è che la scelta isolazionista del Regno, presa con anche qualche buona intenzione – saremo liberi nel mondo senza orpelli europei e staremo tutti meglio, insieme – per quanto a parlare siano sempre i falchi, ha un impatto sulla coscienza di un paese, sul suo sentirsi parte di un progetto globale, o sul suo ripiegarsi su se stesso.

   

Ieri il report sulla solitudine è stato presentato al Policy Exchange, celebre think tank britannnico liberale-conservatore, da alcuni parlamentari e intellettuali che fanno parte della commissione Jo Cox sulla solitudine (@JoCoxLoneliness). Jo Cox è la parlamentare laburista che fu uccisa qualche giorno prima del referendum sulla Brexit lo scorso anno da un cinquantenne che gridava “Britain First”, un po’ squilibrato e molto fanatico, estremista di destra, che le ha sparato, l’ha accoltellata e l’ha lasciata lì per terra, in una pozza di sangue, a quaranta anni o poco più (è stato condannato all’ergastolo). La Cox era entrata in Parlamento da un anno, era nota per il suo slancio umanitario, nelle guerre contro il terrorismo islamico e nell’accoglienza dei rifugiati, il suo messaggio (anti Brexit, ma non è questo il punto) era un immenso abbraccio, insieme siamo più forti, parliamo, collaboriamo, confrontiamoci, troviamo un modo per stare tutti meglio. E’ da questo abbraccio che è nata la commissione sulla solitudine, che ha raccolto gli spunti arrivati da “una conversazione nazionale” in cui molti hanno raccontato la loro esperienza, nella vita quotidiana, sul lavoro, in famiglia, segnalando quel che ancora oggi gli esperti non riescono a comprendere del Regno Unito, cioè questa sua trasformazione culturale e identitaria profonda. La democrazia dal basso ha tanti ed evidenti problemi, ma la delicatezza aiuta, anche il confronto civile aiuta, e questo abbraccio si è rivelato potente, come hanno raccontato i parlamentari che hanno discusso insieme del “Lonley Planet” inglese, di quei nove milioni di inglesi che hanno detto che si sentono infinitamente soli.

   

Quando si ricorda Jo Cox la commozione è sempre grande, e ieri piangevano in molti mentre alle analisi si mischiavano le esperienze della parlamentare, e persino la parola “nostalgia” ha preso una connotazione diversa, più accettabile. La politica della nostalgia che oggi va molto forte, a destra e a sinistra, nel Regno Unito e altrove, quell’idea che prima dell’Europa comunitaria, prima della globalizzazione, prima del liberalismo si stesse tutti molto meglio ha un traino eccezionale, pure se è quanto di più lontano dal progressismo si possa immaginare. La nostalgia di cui si è parlato ieri c’entrava con la necessità di ricostruire i contatti umani, con quella volontà che ha a che fare con la caduta dei muri, con la fine dell’oscurantismo, con quell’effervescenza degli anni Novanta che faceva sembrare tutto possibile. Nostalgia di libertà, altro che passato di chiusura. La solitudine si cura così, abbattendo le frontiere e le divisioni, trovando un equilibrio tra “io” e “noi”, investendo nelle comunità, facendo sì che le chiacchiere non ci siano soltanto in questi giorni di neve in cui parli con il vicino “per condividere curiosità meteorologiche”. La tecnologia non è per forza nemica, gli smartphone che catturano spesso più attenzioni di tanti commensali non sono demonizzati, così come i social network non sono per forza i luoghi in cui ci si isola in piccole bolle e si lascia tutto il mondo fuori. Certo, il rischio c’è, soprattutto tra i giovani – anche se la solitudine non discrimina nessuno, né giovani né vecchi – ma lo sforzo di recuperare quel che siamo sempre stati, la civiltà del dialogo e della connessione e dell’apertura, parte da un’ammissione: sono pochi quelli che scelgono davvero la solitudine e poi da soli stanno bene. Per tutti gli altri, ci vuole un po’ di consapevolezza, gli occhi alzati, la capacità di dialogo e di un po’ di lealtà – e sì, vale anche per la Brexit, sintesi estrema dell’isola che non sa fare i conti con la propria solitudine.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi