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Il dolore di un padre. E una promessa

Paola Peduzzi

Nel memoir di Joe Biden c’è un pezzo di storia americana mischiata con la sofferenza di un padre

Oggi esce negli Stati Uniti il memoir di Joe Biden, ex vicepresidente degli Stati Uniti: si intitola “Promise me, dad” e, come ha raccontato Biden in un’intervista commovente sul New York Times, ricorda la morte di suo figlio Beau, la decisione di non candidarsi per le presidenziali del 2016 e un pezzo di mondo, le crisi in Iraq, in Ucraina, nell’America centrale. Tutto insieme, tutto intrecciato, tutto velocissimo, e con un’unica certezza: il tempo ci curerà. Detto oggi, mentre ci guardiamo intorno e pensiamo che quel che accaduto nel 2016 – non soltanto in America – è stato così sconvolgente e il tempo non ci sta affatto salvando, le parole di Biden (lui è un chiacchierone, le sue gaffe sono leggendarie) suonano molto rassicuranti.

  

Perché raccontare un dolore così grande? “Per i miei figli e i miei nipoti – dice Biden – che hanno cominciato a venirmi vicino e a chiedermi: ‘Raccontami qualcosa di papà, raccontami di quando è caduto dall’albero, raccontami di quando lo zio ha picchiato un ragazzino che infastidiva papà’”. Biden parla di una famiglia e dei suoi dolori – la morte di Beau, di tumore al cervello a 46 anni, non è la prima tragedia della vita dell’ex presidente: perse una figlia piccolissima e la moglie in un incidente d’auto – e li intreccia con la storia dell’America, che è anche la sua storia perché mentre si aspettava di sapere se Beau ce l’avrebbe fatta o no, Biden parlava con il primo ministro iracheno della possibilità di pacificazione tra sunniti e sciiti, che pure lì era una questione di vita o di morte: di un paese, della stabilità di un’intera regione. “Nulla è totalmente separabile” nella vita di un uomo, dice Biden, e se c’è una buona notizia che riguarda tuo figlio vuoi pensare che ce ne sarà una, che se ne troverà una, anche per gli iracheni, e tutto si mescola: i compartimenti stagni non esistono. Esiste però il tempo: Biden ha una fiducia incrollabile nelle capacità curative del tempo, e ascoltarlo fa bene, perché a chi pensa che no, certi dolori non passeranno mai, lui ricorda le parole di suo figlio. Biden continuava a pensare che Beau ce l’avrebbe fatta, ancora per un po’ almeno, Beau è stato il primo a scendere a patti con la propria morte imminente e ha cominciato a ripetere a suo padre: promettimi che starai bene, papà, promettimelo. Lo aveva visto soffrire per la sorellina e per la mamma morte nell’incidente: Beau aveva quattro anni, e aveva passato ore al letto d’ospedale in cui era ricoverato il fratellino sopravvissuto ripetendogli “ti voglio bene, sono qui, ti voglio bene, guardami, ti voglio bene”, tenendogli la mano senza mai lasciarla (al funerale di Beau, quel fratello, Hunt, ha detto: “Non mi ha mai lasciato la mano per tutta la vita”). Il dolore di suo padre era troppo grande e Beau troppo piccolo, ma quando è venuto il momento di consolare il papà, Beau ha fatto di tutto per evitare che crollasse: anche per questo lui e i suoi fratelli avrebbero voluto che si candidasse per le presidenziali del 2016. Biden decise di no, per molte ragioni legate alla sua famiglia, a quel dolore, e per molte altre che invece non dipendevano da lui, come viene raccontato in altri memoir usciti nelle ultime settimane. Rimpianti? Sarebbe andata diversamente quella folle corsa elettorale? La verità è che non lo so e non lo possiamo sapere, dice Biden, non è uno che si deve togliere troppi sassolini dalle scarpe lui, con quel che ha passato il gioco dei se non lo appassiona, siamo qui e siamo in un mondo capovolto. Il figlio è morto, l’accordo in Iraq è saltato, la crisi ucraina non s’è mai sopita, Donald Trump ha vinto le elezioni e noi ci si accontenta di vivere di nostalgia, mentre il presidente americano ci svela ogni giorno sfumature nuove di come sono gli uomini che restano infantili (no, non la sindrome di Peter Pan: l’infantilismo, se non la pianti ti dico che sei ciccione, per dire). Ma Biden è qui per rassicurarci, ed è forse questo che chiediamo oggi ai nostri leader: la mia storia dice che il tempo cura, ripete Biden, altroché se lo fa, guardate avanti, c’è una mano che stringe la vostra, e andrà tutto bene.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi