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I ministri inglesi contro May mostrano che ci vuole arte anche per far andare tutto storto

Paola Peduzzi

I negoziati sulla Brexit non stanno andando benissimo, ed è vero che l’Europa s’è infilata il gonnellone della signorina Rottermeier, ma è altrettanto vero che una via di dialogo è indispensabile per Londra

Ci vuole dell’arte anche nel riuscire a fare andare storta ogni cosa, nel rovinare tutto, nel far saltare un punto del rammendo, ritrovarsi con un buco enorme, e gioirne. Il Partito conservatore britannico ha quest’arte, la mostra come se fosse un trofeo, e pazienza se quel buco enorme è il divorzio dall’Unione europea di tutto un paese e si rischia di rimanere in mutande, pazienza se a pagarne le conseguenze saremo tutti, europei e inglesi assieme: pazienza, i conservatori si divertono così, a spaccare tutto. A spaccare soprattutto il premier, Theresa May, che è già a pezzi di suo e vive di rammendi di suo, ma che tenta quell’impresa impossibile di coniugare la volontà popolare inglese e i negoziatori europei. Si è mossa a tentoni, la May, all’inizio dell’anno era promettente e ottimista e ora deve ridimensionare le prospettive e se stessa, però da ultimo ha cercato di ascoltare anche i più moderati del suo governo litigarello, e ha fissato il discorso venerdì a Firenze per allungare un po’ la mano verso i malmostosi europei. I negoziati sulla Brexit non stanno andando benissimo, ed è vero che l’Europa s’è infilata il gonnellone della signorina Rottermeier, ma è altrettanto vero che una via di dialogo è indispensabile per Londra. Molti conservatori però vedono la May debole e azzannano, in cerca di una vendetta personale o, meglio ancora, di un rilancio politico.

 

Il vendicatore in chief è George Osborne, ex cancelliere dello Scacchiere defenestrato dalla May e ora direttore dell’Evening Standard: l’edizione britannica dell’Esquire gli ha dedicato un ritratto sfizioso, lunghissimo, che sarà però ricordato per un’unica frase, quella in cui Osborne confida ad amici chiacchieroni che andrà avanti nella sua guerra fino a che la May non “sarà a pezzi in sacchetti dentro al mio freezer”. La missione del direttore dello Standard non è stata accolta con grande entusiasmo – anche se il sadismo di Osborne non è poi così sorprendente – e tra le critiche, le indignazioni, le battute, l’unica buona notizia per la May è che l’eventuale ritorno in politica di Osborne è ora meno probabile (anche se la memoria è corta, cortissima). Ma per un vendicatore brutale che si fa male da solo, ce n’è un altro che finge collaborazione e incoraggiamento e poi strappa tutto quel trova, anche le statistiche, anche il buon senso. Si tratta di Boris Johnson, il ministro degli Esteri entusiasticamente pro Brexit, che la May ha deciso di tenere al governo – cosa farà adesso non si sa – per poterlo controllare, contenere, gestire. Il calcolo non è stato del tutto sbagliato, ma ora c’è la conferenza di partito a Manchester, ora c’è la tentazione del premier di ascoltare le voci moderate del suo team (perché altrimenti con gli europei non si va da nessuna parte, perché altrimenti i laburisti davvero vanno a vincere con quel Corbyn) e allora Boris Johnson ha deciso che il momento fosse adatto per agguantare il microfono e urlare che l’unica Brexit è quella falca, il resto è status quo. A sostenerlo è arrivato Michael Gove, ora ministro dell’Ambiente, compagno di Johnson durante la campagna referendaria, poi traditore-suicida durante la lotta per la leadership post referendum (quella che ha portato la May a Downing Street), poi pentito in chief, oggi di nuovo al fianco di Johnson. I due vogliono che si parli di futuro invece che di rimpianto, Boris ha citato un numero – il risparmio di 350 mila sterline a settimana dall’uscita dall’Ue – che non è mai stato confermato, sorbendosi la ramanzina pubblica e precisa del direttore dell’ufficio statistiche, diventato subito idolo dei social. Johnson e Gove sono così posizionati meglio nella corsa per sostituire May? Difficile dirlo, quando il ministro dell’Interno Amber Rudd definisce Johnson “un entusiasta, divertente” sembra che parli di un cucciolo di cane più che di un nuovo leader, e anzi semmai è alla Rudd che la May dovrebbe badare quando tiene ferma la propria sedia.

 

Ma il premier deve occuparsi del rammendo, ieri lo scossone è arrivato da Olly Robbins, che lascia il ministero per la Brexit pare con una certa ostilità e va a lavorare direttamente a Downing Street, rimanendo negoziatore a Bruxelles (dove è abbastanza amato, anche se è stato sgridato ad agosto perché pretendeva di entrare a un incontro con i pantaloncini corti): il trasferimento farebbe parte del progetto mano-tesa di May, ma vai a capire con che pezza si presenterà infine il premier inglese a Firenze, mentre i ministri strappano ogni cosa e gli europei ridono sprezzanti, irriverenti: vi si vedono le mutande.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi