Theresa May (foto LaPresse)

Nei Tory inglesi è iniziata la (sporca) resa dei conti

Paola Peduzzi

Theresa May ha perso e non se la passa benissimo. Tra pragmatismo e vendette, occhio ai più mansueti, e a chi sa tenere i segreti

Brutali come soltanto i conservatori inglesi sanno essere, nonostante le arie posh con cui a fasi alterne cercano di rilanciarsi, la resa dei conti è cominciata, e Theresa May non se la sta passando benissimo. Ora: ha perso. Theresa ha perso quando era convinta di vincere, errore che non si perdona ai più talentuosi, figurarsi a lei, alla May, che ha preso d’imperio la leadership dei conservatori e li ha voluti portare nel terreno dei suoi valori e delle sue ambizioni, considerandolo fertile quando non lo era. Il “nasty party”, come è stato definito a lungo il Partito conservatore odioso, ha recuperato la sua natura, ed è soltanto un pochino ironico pensare che sia stata proprio la May a dire all’inizio del Millennio che quel “nasty” andava levato, sotterrato, superato. I pragmatici del partito dicono: teniamoci la May, almeno per il momento, perché rischiamo altrimenti di perdere già quel poco di credibilità residua che abbiamo presso il resto del continente europeo, proprio ora che dobbiamo iniziare a fare sul serio con la Brexit. Ma il panico è percepibile: il negoziato forse non inizierà secondo il programma stabilito, e gli europei sorridono sornioni, sono un po’ affari vostri, cari inglesi, siete voi che avete bisogno di tutto il tempo a disposizione, non noi. Anche il discorso della Regina che scandisce le priorità del governo e dà la copertura istituzionale necessaria è in forse, rimandato non si sa bene a quando, perché bisogna contare gli appoggi ai Comuni e anche incastrarsi nella fitta agenda regale, che non prevede errori strategici come quelli della May. E poi ci sono le vendette, i “l’avevo-detto” che ora risuonano in ogni dove, anche se prima, quando tutti erano fiduciosi, quando ancora la possibilità di ritrovarsi mezzi sconfitti era remota, nessuno alzava troppo il capo.

 

La May ha licenziato i suoi fedeli collaboratori, quelli che sono considerati i registi della campagna elettorale più autodistruttiva di sempre, quelli che sono stati sezionati in molti articoli al punto da diventare notizia, e come diceva Alastair Campbell, spindoctor del blairismo, se diventi tu la notizia, tu che sei dietro le quinte, vuol dire che è ora di andarsene. Il desiderio di ottenere agnelli sacrificali è alto tra i Tory, e i guru non sono sufficienti: servono, perché erano comunque i guardiani della May e della sua operazione politica, ma non sono sufficienti. Molti vogliono di più. Per ora non si intravvede una via precisa, ma il golpe è nell’aria, è scritto anche su una chat di WhatsApp che è diventata subito pubblica, perché i segreti sono il lusso del nostro tempo e custodirli non è da tutti. Il nome che si cita più spesso è quello di Boris Johnson, il ministro degli Esteri, che scalpita da sempre e che però formalmente dà il suo appoggio a May, sperando che la trama del tentativo di golpe non diventi troppo presto una farsa (soltanto un anno fa, dopo il referendum sulla Brexit, accadde esattamente questo, la farsa, e i protagonisti erano gli stessi, Johnson e Michael Gove, ex ministro odiato dalla May oggi reintegrato nel governo, forse grazie a una spintarella di Rupert Murdoch, o così insinuano i laburisti per dimostrare che la May non controlla più nulla).  

 

Intanto la lettura principale del Regno è diventata quella dell’Evening Standard, con le sue tante edizioni e con il suo direttore scatenato e informatissimo: George Osborne, di questi tempi nel 2016, era ad aspettare un incarico dalla May che non arrivò mai e da allora aspetta il momento per riprendersi il maltolto. Questo è il momento, e Osborne inventa lo scontro dei conservatori tra “creazionisti” e “sensibili”, i primi sono quelli che vogliono una Brexit dura, gli altri sono quelli che auspicano una via più morbida. Ma la Brexit c’entra poco, si sa che la via “morbida” è un boomerang per il Regno Unito, si sa che nemmeno il Labour che continua a chiedere nuove elezioni non la vuole (il numero due di Corbyn dice che uscire dal mercato unico è una possibilità concreta), c’entra la lotta di potere, e i beninformati dicono di tenere d’occhio Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere. Ha malparato i colpi della May per un anno intero, e ora può giocare il ruolo di quello che ha esperienza, e l’aria mansueta – la stessa che aveva May un anno fa.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi