François Fillon (foto LaPresse)

Quanto costa la cocciutaggine di Fillon

Paola Peduzzi

Mentre Juppé dice che non si candida, la Francia elabora una gran verità: essere il piano B dopo essere stati pubblicamente scartati non è un’ipotesi dignitosa

Uniamoci, non facciamo gli stupidi, non è tempo per una separazione, divisi si perde, mettiamo via gli sguardi severi e le trame dietro le spalle: stiamo insieme. I Républicains francesi, eredi del gollismo, tentano la strada dell’unità ora che il loro pupillo nonché candidato alle elezioni – il primo turno è tra 48 giorni, cioè domani – François Fillon ha deciso di resistere a quello che lui definisce un assassinio politico e che di fatto è uno scandalo di stipendi parlamentari invero esosi elargiti a moglie e figli. Nicolas Sarkozy, ex presidente mezzo finito in disgrazia, si sente ringalluzzito da questo suo nuovo ruolo di “rassembleur”, ha trovato un’insperata visibilità e se la gioca con comunicati seri e lucidi: o il centrodestra di Francia sta insieme, e insieme significa con Fillon, o vince Marine Le Pen. Non si può scherzare quest’anno, non si può fare gli schizzinosi: mettete via i ditini alzati, e votate compatti. Intanto i suoi però dicono a Fillon di cercarsi un “successore”, non si sa mai, è cautela dicono, è anche un bella pugnalata al cuore, intanto.

 

Ieri anche Alain Juppé, che è considerato popolarissimo ma le primarie dei Républicains le ha perdute, è intervenuto per ribadire la linea dell’unità: io non mi candido, ha detto, e da tempo ripete una grande verità, cioè che essere il piano B dopo essere stati pubblicamente scartati non è un’ipotesi dignitosa. Ma mentre parlava Juppé aveva lo sguardo altrove, l’orgoglio ferito, la rabbia anche, e così chiedeva unità e intanto sottolineava che questo Fillon è un capoccione, s’ostina in una difesa che radicalizza l’elettorato della destra in un momento in cui invece i Républicains dovrebbero essere aperti e accoglienti, ché al secondo turno senò non ci arrivano. Pretendere un endorsement convinto da Juppé era troppo persino per uno tignoso come Fillon, ma l’effetto finale è stato piuttosto deprimente, con quell’accenno alla “confusione” fatto da Juppé che fa il gioco dei portatori di caos, non certo del partito della destra francese che fino a qualche mese fa si sentiva così forte, così sicuro, così inevitabilmente vincente. E invece l’accanimento continua.

 

Libération, il giornale della gauche che assiste inerte alla debolezza della candidatura socialista di Benoît Hamon (il quale sbraita di continuo: tutti a parlare di Fillon e di sua moglie e nessuno che ascolta programmi e questioni di merito, dice. Forse questo in realtà è il motivo della sua leggera risalita), si è intestata la battaglia contro l’avversario Fillon. Abbiamo appena assistito a una campagna elettorale americana in cui i fatti, i flip flop, le chiacchiere da spogliatoio e le tasse non pagate non smuovevano le convinzioni dei trumpiani e oggi ci accorgiamo che la post verità non è così post o almeno non lo è in Francia, dove questo rimestare nelle dichiarazioni passate di Fillon – la maledizione di chi fa politica da decenni – sta sgretolando la sua credibilità. Libé ha messo in piedi “Le compteur”, un conteggio in tempo reale (più o meno) di chi diserta nel campo di Fillon, e prima del numeretto sconvolgente c’è una testa di Fillon che oscilla con l’aria da rimprovero. 305 è il numero dei disertori. Poiché Libé si diverte e si vede, c’è anche il conto di chi oscilla come la testa di Fillon, di chi dice “basta, non se ne posso più” e poi cambia idea, perché a certe unioni non ci sono alternative: i nomi e i cognomi dei tentennanti compaiono con una barra tirata sopra, una rettifica che non è di buon auspicio per le carriere future.

 

Poi ci sono i video, le interviste che risalgono anche a vent’anni fa, quell’archivio che può trasformarsi in un attimo in un atto d’accusa permanente: Fillon ha fatto dell’onestà e della coerenza la sua cifra per molti anni, e oggi viene accusato, molto anche dai suoi, di essersi intestardito come se si sentisse in credito, come se le sconfitte passate – e ce ne sono state – dovessero tutte essere pagate qui, oggi in questa tormentata campagna elettorale. Il video peggiore risale al 1999, l’allora sindaco di Parigi, Jean Tibéri, era finito in uno scandalo, e Fillon commentava: “Ci sono migliaia di militanti e di politici eletti che rispettano la legge, che vogliono essere fieri del loro partito. Chi non l’ha rispettata deve essere escluso, questa è la regola, questa è la regola che io farò rispettare”. Poiché tutto è confuso ma la storia a volte no, è chiarissima, lo scandalo che faceva indignare Fillon riguardava la moglie di Tibéri, Xavière. Non ne venne fuori nulla, ma nel 2012 Tibéri non si candidò alle municipali, e il suo successore fu François Fillon.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi