Eleanor Roosevelt (foto di Wikipedia)

Eleanor Roosevelt, il governo “in sottoveste” e le first lady di oggi. Abbracciatevi forte, nasty women

Paola Peduzzi

Franklin Delano Roosevelt non voleva essere accusato di guidare un “petticoat government”, un governo con la sottoveste, dando troppo retta a sua moglie, Eleanor, che aveva una sua indipendenza come first lady – si batteva per i diritti civili, per l’uguaglianza – ma che spesso entrava nelle questioni di governo. Quando questi consigli diventavano ingerenza, Franklin la silenziava. “La ragion di stato” lascia fuori le gonne, scrive Blanche Wiesen Cook, biografa della first lady Eleanor Roosevelt, che ha appena pubblicato l’ultimo volume, il terzo, del suo racconto, la parte più delicata per noi che abitiamo da questa parte dell’Atlantico perché è quella sugli “anni di guerra”, dal 1939 al 1962, l’anno in cui Eleanor è morta, diciassette anni dopo la scomparsa di suo marito. “Little Nell”, come la chiamava suo padre, aiutò Franklin a preparare il popolo americano alla guerra, in anni in cui l’isolazionismo andava forte e quando il conflitto era percepito come una questione europea, un affare tra paesi vicini e rivali, con un oceano a dividerli dagli Stati Uniti.

 

La first lady si batteva sul fronte interno per appianare le diseguaglianze sociali ed economiche in America: come possiamo promuovere la democrazia nel mondo se non ce l’abbiamo a casa nostra?, diceva, e intanto criticava Winston Churchill, imperialista adorabile, e non voleva che fosse lui a scrivere i trattati di pace. Sulla guerra Franklin non voleva interventi coniugali, fece come pensava giusto, mentre Eleanor gli mandava missive affettuose, pubblicava una column ogni giorno (“My day” uscì per 27 anni: nasceva dai carteggi quotidiani che la first lady teneva con i suoi cari), partiva per fare l’infermiera in Europa, si sedeva nelle zone riservate ai neri in Alabama, convocava conferenze stampa in cui potevano partecipare soltanto giornaliste donne, per invitare i direttori ad assumerne di più. Con una di queste giornaliste, Lorena Hickok detta Hick, nacque un’amicizia chiacchieratissima, un amore, che è stato (ri)raccontato nei dettagli – e nei suoi enormi dolori – in un libro appena pubblicato: “Eleanor and Hick: The Love Affair That Shaped a First Lady”. Alla sua amica-amante Eleanor confidava di non voler essere soltanto “la moglie del presidente” e tra le pieghe del loro rapporto tormentato e scandaloso la first lady scopre la passione per le proprie battaglie, la forza di diventare la testimonial di un paese che lei immaginava migliore, esempio virtuoso per il mondo.

 

Non aveva un carattere facile, Eleanor, sapeva essere anche “nasty” (certo lo è stata con Hick), e ha imposto un modello per le first lady americane future davvero difficile da imitare. Ma non deve essere un caso il fatto che tutt’a un tratto i libri sulla signora Roosevelt siano diventati tanto popolari, che quelle immagini in bianco e nero riempiano il nostro immaginario assieme ai colori della campagna elettorale di oggi, in cui un’ex first lady sogna di andare alla Casa Bianca, e per la prima volta sente che il sogno è quasi raggiungibile. E la storia diventa ancora più grandiosa, il patto d’acciaio si stringe forte, se ad accompagnare Hillary Clinton verso il soffitto con sempre più crepe c’è la first lady di oggi, la battagliera Michelle Obama, che è la testimonial migliore che si possa sperare, con la sua forza, i suoi pugni alzati, i suoi appelli a scaldare quei cuori cui Hillary non sa parlare. E’ l’alleanza delle nasty women, first lady che si stringono e si rafforzano, e tutti i pettegolezzi, le cattiverie, gli amori, le corna, i bisticci sembrano svanire in questa coalizione tinta di blu democratico. S’abbracciano forte, le nasty women, e le guardi e pensi che nonostante tutto, anche se il mondo sarà loro, non si potrà dire nemmeno oggi, nemmeno questa volta, che è un governo con la sottoveste.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi