Katie Telford e Justin Trudeau

Il partito si fa movimento, ovvero il sogno della “donna dei numeri” che esalta i liberal del Canada

Paola Peduzzi
Katie Telford ama i numeri perché dice che “non mentono mai”. Si sveglia la mattina e per prima cosa controlla i numeri: quelli che dimostrano se sta facendo un buon lavoro, o se c’è qualcosa da cambiare. Tabelle, grafici, numeretti nelle caselle che non dicono bugie.

Katie Telford ama i numeri perché dice che “non mentono mai”. Si sveglia la mattina e per prima cosa controlla i numeri: quelli che dimostrano se sta facendo un buon lavoro, o se c’è qualcosa da cambiare. Tabelle, grafici, numeretti nelle caselle che non dicono bugie. Katie Telford è il chief of staff di Justin Trudeau, il premier canadese che è diventato il nuovo darling della sinistra globale (al G7 in Giappone, Trudeau si è preso una pausa dagli incontri internazionali per festeggiare il suo undicesimo anniversario di matrimonio con la moglie Sophie, la madre dei suoi tre figli, la donna che lui, vincendo le elezioni l’anno scorso, ha ringraziato su Twitter definendola #MyLove: è appena uscito uno studio in Canada in cui si dice che Trudeau è poco mascolino, che è anche la critica che i conservatori gli hanno sempre rivolto, è troppo ragazzino, troppo incompetente. Forse più che poco mascolino è poco maschilista, chissà se la differenza è chiara).

 

Katie Telford è nata nel 1980, ha iniziato a fare politica quando aveva dodici anni perché i suoi genitori (il padre è australiano) erano funzionari pubblici e per lei fin da subito è diventato importante trovare una propria dimensione in una famiglia così. Quando fu nominata da Trudeau come capo della sua campagna elettorale, all’interno del Liberal Party ci fu una mezza rivolta: davvero vuoi mettere questa ragazzina a gestire la sfida più grande in un decennio di tutto il partito? Ci vorrebbe una persona un po’ più “adulta”, dicevano gli elefanti liberal, una che sappia muoversi in questo gioco da maschi. Trudeau se ne infischiò: si fidava di Katie. Se in questo fine settimana, nella prima convention del Liberal Party dopo la vittoria elettorale, è stata introdotta l’idea di trasformare il partito in un movimento, se volontariato, attivismo, cambiamento dal basso non sono più soltanto parole per i liberal canadesi e forse anche per chi liberal non è, si deve dire grazie alla “ragazza dei numeri”, all’ossessione di Katie per la mobilitazione, alla sua capacità di guardare le tabelle e vederci dietro delle persone.

 

Sabato Katie ha parlato alla convention, lei che è considerata una “ground girl”, perché non ama il podio e ancor meno gli interventi in tv. Si è presentata sul palco, con un vestito nero e l’aria un po’ agitata – ma era una posa, in realtà era sicurissima –, e ha fatto alzare tutti quelli che hanno partecipato alla campagna elettorale, i volontari, gli assunti, i candidati, quelli eletti e quelli che non ce l’hanno fatta: ha chiesto di alzarsi e alla fine tutta la sala era in piedi.

 

Poiché è famosa come la “donna dei numeri” e suo marito, che è un consulente politico e in tv ci va molto più spesso di lei, la prende in giro ogni volta che la vede che fa calcoli con le dita, Katie si è messa a parlare dei numeri, di quelli che hanno contribuito a trasformare il Partito liberale in un movimento aperto. Katie si è messa a parlare del lavoro fatto, di Trudeau che è diventato il politico con cui farsi immortalare se ci si vuole posizionare nell’universo della sinistra mondiale, di un progetto di coinvolgimento che esalta sì i tic politicamente corretti del Canada ma li fa tornare a vincere, della politica che è vita, e i numeri non sono soltanto numeri, i numeri sono le persone. Certo, le persone mentono e i numeri no, l’istinto di Katie Telford è fare calcoli, guardare tabelle di Excel, ma bisogna saperle leggere quelle cifre, bisogna saper rispondere alle domande che ci sono in quelle cifre, e magari ascoltare anche le risposte.

 

Durante la campagna elettorale dello scorso anno, il figlio di Katie, George, che ha quattro anni, le ha chiesto: “Ma i papà possono votare?”. Lei l’ha guardato stupita, che razza di domanda è, ho sbagliato qualcosa, l’ho lasciato troppo solo con i nonni? Ma il piccolo George ha risolto tutto, con un sorriso, prendendole la mano e mettendo fine ai dubbi, alle analisi sociologiche, ai dilemmi sul ruolo delle donne, e sul loro potere. Ha detto: “Perché sono le mamme che comandano nelle elezioni”.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi