Sediq Khan (foto LaPresse)

Il neosindaco di Londra Sadiq Khan ha vinto grazie alla sua infedeltà (politica) e non accenna a redimersi

Paola Peduzzi

Tutti i sogni sembravano finiti. Realismo, cinismo e pragmatismo hanno ripreso slancio: state tutti con i piedi ben piantati per terra, e non muovetevi da lì. Poi è arrivato Sadiq Khan con una bella storia da raccontare, un mondo attorno a sé che parla di paura, di distanze, di muri, e il sogno è ricominciato. Ora il mondo guarda a Londra come a un luogo d’ispirazione zeppo di buoni sentimenti e di retorica: Khan è il primo sindaco musulmano della storia della capitale britannica, anzi è il primo leader musulmano a imporsi in modo tanto netto nel mainstream politico dell’occidente. La sua storia ormai è stranota, Khan l’ha raccontata per bene fin dall’inizio: la casa popolare in cui è cresciuto con i suoi sei fratelli e un’unica sorella, il padre che guidava l’autobus – un double decker – e faceva più turni possibili, mentre la mamma cuciva vestiti e preparava cene, senza mai fermarsi. L’amore per il calcio (è tifoso del Liverpool), la passione per i diritti umani, poi l’incontro con quella che lui chiama “l’ala soft” del Labour, l’ala Gordon Brown-Ed Miliband, di cui Khan al momento è l’unico rappresentante di successo. Il sogno britannico ha così ora i suoi capelli grigi, una moglie incontrata ventidue anni fa e due figlie femmine, ed essendo lui cresciuto in una caserma questo dev’essere lo choc quotidiano più grande.

 

Khan è un politico con una strategia. L’avanzata sognante è la storia di cui si sono innamorati i londinesi, sintesi di un contrasto fin ridicolo con il milionario suo ex avversario Zac Goldsmith (che ha perso male, ma questo molti se l’aspettavano. Il problema semmai è che a gestire la sua campagna è arrivato il signor Wolf dei Tory, il granitico Lynton Crosby, così la domanda rilevante oggi è: era troppo scarso Goldsmith o Crosby, a sei settimane dal referendum sull’Ue che sta gestendo con piglio scientifico-ideologico, ha perso il suo tocco magico?). Dietro a Khan c’è una grande strategia, che è stata sintetizzata dai retroscenisti così: evitare gli errori fatti da Ed Miliband alle politiche del 2015. Ora, i due si conoscono bene, anzi, si può dire che Khan è stato il regista del fratricidio politico perpetrato da Ed ai danni di David Miliband, quando si sfidarono per la leadership del Labour. Doveva vincere David, ha vinto Ed, grazie al sostegno dei sindacati, che furono ampiamente corteggiati da Khan. La sera prima del voto decisivo, Khan ha raccontato di aver detto a Ed: “Domani perderai”. Ma era un trucco da avvocato, come ha spiegato il neosindaco, devi sempre dire al tuo cliente che perderà così è pronto alla sconfitta, poi se vince penserà di avere l’avvocato più cool del secolo, “e il mio feeling quella stessa sera era che ce l’avremmo fatta”. Ecco Khan al suo meglio. Uno stratega. Che ha deciso di annunciare tutte le sue policy per Londra a gennaio, con anticipo, per poterle spiegare bene e per non dover rincorrere gli avversari. Che sapeva di avere in curriculum punti oscuri nel suo rapporto con l’islam estremista che gli sarebbero stati rinfacciati: così ha deciso fin da subito di usare questo punto debole (che è anche una delle incognite più grandi sul suo futuro) a proprio vantaggio, provandosi a rivendere come un musulmano che sa che problemi ci sono all’interno della comunità e che dice che non si fa mai abbastanza per condannare l’estremismo: solo barbe e urla, ha spiegato, e mai nessuno che dica forte e chiaro che questo radicalismo non è tollerabile. Allo stesso modo, Khan non ha inseguito la retorica anti ricchi e anti globalizzazione che va forte nel Labour di oggi: non ha mai parlato di aumentare tasse o di azioni contro la City. Al punto che Jeremy Corbyn, leader laburista, si è risentito: hanno fatto un sondaggio interno, perché pare che Corbyn viva di questi test di fedeltà permanenti, e Khan è finito tra i primi cinque “infedeli”, anche se nessuno si è mai sognato di andargli a fare una scenata. Anche oggi il neosindaco si muove in modo autonomo, e appena eletto ha scritto sull’Observer un articolo per dire: costruiamo una “big tent”, non accontentiamoci dei voti dei laburisti, così non andremo da nessuna parte. Ci vuole una mossa strategica più ampia, che parte da Londra e poi arriva a tutto il paese. Ken Livingstone, ex sindaco di Londra appena sospeso per lo scandalo antisemitismo su stimolo dello stesso Khan, e Corbyn stesso devono essersi sentiti male quando hanno sentito quell’espressione, “big tent”, roba da blairiani, roba di un passato che vogliono dimenticare. Ma intanto il vincitore ora è Sadiq, e il fatto che abbia vinto proprio per la sua infedeltà peserà sulle rimostranze future, e sulla sua poca motivazione a redimersi.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi