Che triste il Labour che dà di assassino a Hilary Benn, figlio d'arte che non conosce i fantasmi

Paola Peduzzi

    I sessantasei laburisti britannici che hanno votato alla Camera dei Comuni per allargare i bombardamenti della Raf in Siria sono entrati in liste di proscrizione, sono stati chiamati “assassini”, hanno ricevuto per email immagini tremende di famiglie siriane sterminate dagli strike aerei, alcuni hanno trovato nella casella delle lettere delle foto di teste insanguinate, sono stati minacciati (con dei coltelli-emoticon su Twitter, cosa vuoi che sia, solo che poi essere sgozzati in metropolitana succede davvero, in Inghilterra), le parlamentari sono diventate tutte e semplicemente “cunt”, che è l’insulto più brutto che esiste al mondo, una parlamentare che ha un bambino nato due settimane fa ha ricevuto un messaggio con scritto: “Bella fortuna non aver partorito il tuo bel bambino a Raqqa, vero?”. Ci sono i nomi di tutti e 66 uno in fila all’altro che girano sui social, non votateli mai più, se li incontrate insultateli, questi non sono laburisti, sono dei traditori.

     

    Il capofila di questo piccolo esercito di politici di sinistra che ha pensato che fosse un’ipocrisia bombardare l’Iraq ma non la Siria, visto che quel confine non esiste più, è Hilary Benn, ministro degli Esteri ombra, uno che è stato definito “peggio di Tony Blair”, e si sa che l’ex premier laburista è considerato da buona parte del Labour un criminale di guerra. Benn ha spiegato ai Comuni perché la guerra allo Stato islamico sia legittimata dall’Onu e richiesta da buona parte dei paesi della regione, ma soprattutto ha detto che lo Stato islamico è come il fascismo, e ha rievocato quel che accadde in quella gloriosa assemblea britannica quando si dovette decidere se e come combattere i nazisti negli anni Quaranta. Niall Ferguson, storico e intellettuale, ha detto che il richiamo è sì suggestivo ma sbagliato: il fascismo ha una componente locale, ha spiegato sul Sunday Times, laddove l’islamismo ha una proiezione internazionale, così il termine “islamofascismo”, inventato da Christopher Hitchens dopo gli attentati a New York e il dibattito violento che ne seguì con la guerra in Iraq, è di fatto scorretto. Qui si pensa che un pensiero forte come quello di Hitchens debba soltanto essere rimpianto (per Natale chiedo soltanto una cosa, la nuova raccolta di saggi di Hitch, “And yet”), e che il merito di Benn sia stato proprio quello di porre la sinistra inglese, così frastornata, di fronte a una scelta identitaria. Siamo nati per combattere il fascismo, e questi che mettono in discussione i nostri valori, li disprezzano e li attaccano, devono essere distrutti. Ma il momento della verità, in tutte le storie, è dolorosissimo.

     

    Hilary Benn con la sua retorica decisa si è preso sulle spalle questo fardello che pesa nel Labour, nella sinistra europea, nella sua stessa famiglia: da novant’anni c’è un Benn che serve nel cabinet del governo o dell’opposizione. Gli hanno detto che suo padre – il mitico Tony Benn – si starà rivoltando nella notte (la nipotina pacifista è intervenuta su Twitter dicendo: come vi permettete), perché era uno che predicava contro la guerra, che andava alle manifestazioni pacifiste, ispiratore in buona parte di Jeremy Corbyn, leader del Labour nonché capo di Hilary. Ma David Blunkett, ex ministro laburista, ha raccontato che si ricorda perfettamente il primo discorso di Hilary da parlamentare (e membro del suo team): disse parole che risuonarono indigeste all’ala di sinistra del partito, che comprendeva certo anche Tony Benn, il quale però, ascoltando suo figlio, aveva gli occhi pieni di lacrime. Non perché fosse deluso, non perché si tormentasse per quella mela caduta così lontana dall’albero, non perché volesse rinnegare la parentela, ma perché era fiero che Hilary fosse diventato quel che era, senza fantasmi paterni da combattere, senza mai una lite, sobrio com’è (non fuma, non beve, non urla), deciso e coerente. Oggi si vedono soltanto foto con Tony Benn e Corbyn, come se il figlio-erede fosse il leader del Labour, e non Hilary – con i suoi fardelli che fanno sussultare il suo paese, e parecchio pure le nostre coscienze –, che fece piangere di orgoglio il suo papà.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi