Come fidarsi di un commander in chief? Pensate agli uomini sposabili (e alla metamorfosi di Hollande)

Paola Peduzzi

    Quando François Hollande è apparso in televisione nella notte della guerra di Parigi, era parecchio scosso. Sembrava che non riuscisse a parlare, ha subito detto che la reazione sarebbe stata durissima, severa, impietosa, ma a guardarlo sembrava talmente terrorizzato che l’apocalisse di “Sottomissione” con la Francia islamizzata è parsa, per un attimo (breve: qui si pensa che alla fine vinceremo noi), plausibile. Forse imminente. Se a difendere l’occidente c’è questo signore così cortese, inspiegabilmente seguìto, sposato, amato da belle donne, da sempre più interessato ai giochi di potere del Partito socialista francese che a tutto quel che accade fuori da quei confini circoscritti, quasi impietrito di fronte alla strage del bonheur sotto i suoi occhi, possiamo pure considerarci finiti. Ci vuole il piglio giusto per fare il commander in chief, ci vuole la prestanza, ci vuole la voce ferma, ci vuole dissimulazione, vorrei nascondermi in un bunker perché allo stadio c’ero anche io e quelle esplosioni le ho sentite da molto vicino, invece sono qui a rassicurarvi, miei cari concittadini – ci vuole la credibilità.

     

    Prendiamo Barack Obama: come commander in chief ci ha dato parecchi dispiaceri in termini di efficacia e impegno e visione del mondo. Doveva riparare i guai combinati dal suo predecessore e invece non sappiamo più chi sta con noi e chi sta contro. Ma quando Obama dice che lo Stato islamico lo distruggeremo insieme, quando dice che l’umanità intera si difenderà dalle barbarie, quando promette un mondo in cui tutti saremo uguali e rispettati e chi ci vuole annientare finirà annientato, ti viene da credergli subito, ti viene da dirgli: salva anche me, mentre ti occupi di salvare la terra. Ormai sappiamo che non c’è nulla di vero in quel che dice, che conviene salvarci da soli perché certo non lo farà lui, ma è talmente bravo a giocare il ruolo del condottiero che, se per caso abbozza pure uno dei suoi irresistibili sorrisi, non possiamo – io certo non ci riesco – che fidarci un’altra volta.

     

    Come spesso accade in amore, colui che promette un futuro scintillante offrendo cene indimenticabili difficilmente poi ti sposerà. Hollande è piuttosto quello che non avevi mai notato e che alla fine invece si presenta per proteggerti, e ti sta vicino e chissà, alla fine ti salva (sarà anche la sua tattica con le donne? Sarà per questo che la dolce Julie si è attirata l’ira funesta di quella schiacciasassi di Valérie pur di stare con il suo François? Sarà per questo che Valérie stessa è ancora così fuori di sé che si è messa a usare Twitter come se fosse una teenager? Qualcuno ce lo dica, di grazia, qual è il segreto del presidente ammaliatore). Così, nel giro di due giorni, Hollande è passato da quel discorso tremulo a esplosioni e blizt ancora caldi al discorso di ieri: certo, quest’ultimo se l’è preparato, non aveva appena visto la morte in faccia e si era fatto forza. Però, che discorso. Deciso, ordinato, preciso, tagliente. Siamo in guerra e questa guerra la combattiamo a modo mio e l’obiettivo è, jihadisti di tutto il mondo ma soprattutto voi a Raqqa che ci avete appena attaccato, distruggervi. Per farlo rivediamo tutto, la Costituzione, le frontiere, anche il patto di stabilità, arrangiatevi voi tecnici del rigore, io qui sono in guerra e penso a me.

     

    Tutto quel che è stato annunciato dovrà passare attraverso gli ingranaggi invero poco oliati delle istituzioni – ah, la democrazia – e dell’opinione pubblica, per cui ora ci si aspetta il linciaggio del presidente che fa la guerra e la corsa a mitigare iniziative così poco di sinistra (è già stato fin da subito così, chi dice a Hollande che è stato attaccato perché ha fatto la guerra dovrebbe riflettere sul fatto che la pensa esattamente come quell’assassino di Assad, e magari ripensarci). Ma intanto il presidente francese, che già è l’unico in Europa ad avere soldati sul campo e a bombardare la Siria, ha già dimostrato che se commander in chief non si nasce, a volte lo si può diventare.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi