Fidarsi di chi ti umilia e poi si scusa? Con David Brock Hillary ha deciso di sì, fissando il prezzo del perdono

Paola Peduzzi

    Puoi fidarti di chi ti ha fatto piangere, ti ha rovinato la carriera, ti ha umiliato pubblicamente, ti ha costretto a ogni genere di ammissione e poi un giorno arriva e dice: mi sono sbagliato, scusa, perdonami? Hillary Clinton è convinta di sì, e siccome in quanto a perdono non esiste al mondo donna più credibile di lei, viene da pensare che abbia ragione: se ti perdono e ti tengo vicino a me, con quel senso di colpa enorme che hai, sarai sempre in debito, ci terrai a dimostrarmi che sei cambiato, sarai il più solerte, il più determinato, il più fedele di tutti. Pur essendo sposata con Bill Clinton, cornificatore seriale, Hillary non ha smesso di pensare che con il perdono si possa ottenere tutto. E’ così che David Brock è diventato uno dei personaggi più importanti della campagna presidenziale della signora Clinton, un “super staffer”, come l’ha definito Time, che elargisce consigli su come trattare i giornalisti e allo stesso tempo raccoglie fondi tramite un superPac legato alla ex first lady.

     

    David Brock era famoso, all’inizio degli anni Novanta e durante il primo mandato di Bill Clinton alla Casa Bianca, perché andava in giro, nemmeno trentenne, fumando la pipa e camminando con un bastone (ornamentale), e se provavi a chiamarlo al suo interno nella redazione dell’American Spectator, la segreteria telefonica ti accoglieva così: “Sono fuori che cerco di far cadere il presidente”. Fu il primo a citare il nome di una certa “Paula” che aveva passato la notte con Clinton in un albergo di Little Rock (si trattava di Paula Jones, naturalmente), e da allora fu considerato il cecchino di leader democratici più efficace d’America, tanto che lui stesso ci scherzava su: “I kill liberals for a living”. Quando Hillary cominciò a denunciare la “vast right wing conspiracy”, di fatto parlava di David Brock.

     

    Ma Brock si pentì. La sua conversione non fu tanto ideologica – “no, non mi sono svegliato una mattina e mi sono reso conto che la teoria della supply-side non funziona” – quanto estremamente personale. Fu accusato dai suoi colleghi conservatori di essere diventato troppo docile, di non avere più il guizzo dell’assassino, di aver perso quella ferocia che lo aveva reso tanto celebre, e lui si era anche convinto di non essere molto amato perché era gay: in un articolo su Esquire, nel 1997, Brock scrisse che basta, aveva chiuso con quell’attività demoniaca di attacco mediatico ai democratici, e a dimostrarlo c’era una sua foto che lo ritraeva con la camicia bianca aperta fino all’ombelico, legato a un albero con dei rami, come un’espiazione. Poco dopo scrisse anche una lettera aperta a Bill Clinton, scusandosi per aver frugato nella sua vita privata, “che cosa mi è venuto in mente?”. La conversione divenne completa nel momento in cui Brock pubblicò, nel 2002, un memoir in cui denunciava la ormai nota “vast right wing conspiracy”, prendendosela con tutti, da Matt Drudge ad Ann Coulter, assumendosi molte colpe, ma assolvendosi già nel titolo: “Blinded by the right”. Poi fondò un osservatorio dei media di segno contrario, quasi da left wing conspiracy, che si chiama Media Matters e che riporta tutte le bugie – o presunte tali – pubblicate dai media conservatori, al quale lavora ancora oggi.

     

    Nel libro appena pubblicato – “Killing the Messenger” – Brock risponde alla domanda che tutti ci siamo posti in questi anni: come hai fatto a farti perdonare? Niente, è la risposta: ha fatto tutto Bill Clinton. Quando fu pubblicato “Blinded by the Right”, l’ormai ex presidente lo chiamò, gli disse che il libro era bellissimo, che lo aveva regalato a tanti amici, che finalmente si faceva giustizia di quella ingiustizia colossale che gli era capitata, l’impeachment e tutto il resto per una piccola, comprensibilissima menzogna, che Brock avrebbe dovuto iniziare a fare un tour nel paese per denunciare le bugie e le manipolazioni dei media conservatori – da lì poi sarebbe nata Media Matters. Hillary colse l’occasione e iniziò a sfruttare Brock per il fundraising della campagna da senatrice di New York e poi per tutto quel che riguardava la copertura mediatica dei suoi affari. Aveva ragione, Hillary, a pensare che dopo tanti danni Brock sarebbe stato un collaboratore diligente: tra i media che manipolano la figura di Hillary oggi Brock mette anche – e con una certa veemenza – il New York Times, trattandolo come se fosse un media conservatore, come quei bruti di Fox News per dire, i dirigenti del quotidiano newyorchese impazziscono di rabbia e continuano a essere impietosi con Hillary Clinton. Hanna Rosin, recensendo il libro di Brock nella sezione dei libri del New York Times, gli dà di mercenario e dice che i mercenari sono bravi a fare soltanto una cosa, che è il libro stesso, cioè un gigantesco comunicato stampa per Hillary. Brock si è offeso, Hillary molto meno: fidarsi è una bella fatica, le umiliazioni a volte fanno piangere ancora, almeno lasciamole il lusso di fissare il prezzo del proprio perdono.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi