Il pendolarismo d'amore di Joe Biden con gli occhiali da sole che proteggono un padre che piange

Paola Peduzzi
Poi arriva la realtà e si intrufola, tutto quello che prima pareva possibile, o almeno pensabile, diventa un pezzo di ricordo da mettere via, assieme a molto altro. “Reality has a way of intruding”, ha detto a metà maggio Joe Biden.

    Poi arriva la realtà e si intrufola, tutto quello che prima pareva possibile, o almeno pensabile, diventa un pezzo di ricordo da mettere via, assieme a molto altro. “Reality has a way of intruding”, ha detto a metà maggio Joe Biden, vicepresidente d’America, parlando agli studenti di Yale, gli occhi coperti dagli occhiali a goccia, i famosi “aviators” che sono diventati il simbolo di questo settantenne in politica da quarant’anni, con quel suo modo di fare diretto e al limite del ridicolo, a volte ancora più in là: le gaffe di Biden sono ormai un genere ben noto a Washington. Non ha mai tolto gli occhiali Biden, e i giornali l’hanno sottolineato con ironia, è il suo stile, ormai fa parte del personaggio, e comunque lui l’aveva detto anche al suo capo, il presidente Obama: mi troverò qualcosa da mettere, ma mai mi infilerò quei cappelli ridicoli che avete su voi, ragazzi, come vuole la tradizione del campus. C’era tutto Biden, in quel discorso e in quel look, e soltanto i suoi amici stretti sapevano che dietro agli aviators non c’era uno stile da difendere o promuovere, in vista chissà delle presidenziali del 2016, ma gli occhi di un padre che piangeva. Suo figlio Beau era stato ricorverato in ospedale quel giorno, per trattamenti di emergenza, il tumore al cervello che gli era stato diagnosticato nel 2013 era tornato, aggressivissimo.

     

    E’ morto sabato, Beau, dieci giorni dopo, a quarantasei anni, due mandati da attorney general in Delaware, la speranza di potersi candidare come governatore nel 2016, un anno passato in Iraq quando i suoi bambini erano piccoli e in guerra ci si andava di persona. Joe Biden è stato un padre single per buona parte dell’infanzia dei suoi figli, era appena stato eletto senatore, negli anni Settanta, quando ricevette una telefonata: tua moglie è morta in un incidente d’auto, travolta dal rimorchio di un camion, assieme a lei è morta la bimba, la piccola, Noemi, 13 mesi di vita, e gli altri due bambini sono in ospedale, non si sa in che condizioni. Avevano solo alcune fratture, i due ragazzi, ma Biden pensò di dimettersi subito, “il Delaware può avere un altro senatore, i miei ragazzi non possono avere un altro padre”. I suoi amici gli dissero di rimanere, giurò nella cappella dell’ospedale in cui erano ricoverati i suoi figli, Beau aveva la gamba in trazione, e da quel giorno per cinque anni Biden fece avanti indietro da Washington a casa tutti i giorni, un’ora e mezza ad andare e altrettanto a tornare, non c’erano questioni che potessero essere più importanti di quel suo pendolarismo d’amore. Biden ha raccontato questa storia molte volte, pure a Yale, quando sapeva che Beau stava per morire, per ricordare che quel che siamo è anche quel che determina i rapporti con gli altri: la fiducia non si costruisce soltanto studiando. E quel “buco che ti risucchia ogni volta che ci pensi” non ha impedito a Biden di definirsi “l’uomo più ottimista d’America”, con le gaffe e le parole fuori posto, a volte persino le mani, con la realtà che si è intrufolata così spesso, lasciando gli occhi coperti di un padre che piange.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi