Una foto dalla Romania aiuta a comprendere come marciavano i legionari di Roma (mai rigidi)

Alessandro Giuli
Non molti anni fa una persona vetusta e saggia mi ha mostrato la marcia delle legioni romane. A ranghi sciolti, in fila magari ma senza rigidità, come per una escursione in apparenza ludica e spensierata.

    Non molti anni fa una persona vetusta e saggia mi ha mostrato la marcia delle legioni romane. A ranghi sciolti, in fila magari ma senza rigidità, come per una escursione in apparenza ludica e spensierata. Deve essere stato quello, mi dicevo io stupefatto, il segreto: un corpo psichico unitario, coeso, compatto, regolato da una specie di orologio impersonale esattissimo, un meccanismo perfetto negli allineamenti dei manipoli, delle centurie, delle coorti, dei reparti più o meno giovani e diversamente armati; insomma Roma quadrata in armi. Ecco, per vincere ogni nemico, per stupire e annientare miriadi di barbari incendiati dall’anima dell’orda, l’Urbe ebbe bisogno di virtù e disciplina, coordinamento e velocità, ardore, sì, eppure controllato in pieno, mai nulla di troppo, come insegna Pitagora. Esiste un passo di Tito Livio nel quale viene descritto il cedimento dei valorosi, coraggiosissimi soldati sanniti di fronte alla pressione implacabile dei legionari romani: i Sanniti colsero infine qualcosa di più che umano nella forza smisurata e nella determinazione dei militi romulei, dice lo storico patavino. Ma per transumanare in battaglia, per diventare Marte vivente, è necessario saper fluidificare la propria realtà interiore e spietrificare quella circostante. Insomma vincere la paralisi dei pensieri inutili (il pensiero rivolto al proprio ego è fra i più paralizzanti) ed essere sciolti, perché la rigidità impettita dei vanagloriosi o di chi non sa prendersi con ilarità è l’esatto contrario di ciò che occorre. Ecco perché i legionari nostri, sorvegliati da centurioni e tribuni sempre desti, non avevano bisogno di marciare a ranghi stretti come un esercito di stoccafissi. Bastava loro un metodo, la certezza di esistere e lottare per un’Idea superiore al proprio io storico, l’appartenenza a una dimensione che trascende la greve temporalità, perfino quella dei Fasti trionfali personalizzati, così cari ai consoli più lontani dalle origini. (Ho l’impressione che anche i cugini Spartani marciassero allo stesso modo, spensierati, se è vero che definivano con noncuranza, come una semplice “potatura”, l’eventuale perdita di un arto in battaglia; quasi si trattasse di rami inessenziali a un albero che non può seccare). Altro che passo dell’oca e altre bellurie parodistiche partorite dalla modernità…

     

    Questo pensavo, anni fa e anche più di recente, quando poi venerdì scorso il mio primo sodale mi ha recapitato un’immagine notevolissima, ricevuta a sua volta da una pupilla d’origini sarde. Viene dal Parco naturale di Vanatori Neamt, fra i ghiacci della Moldavia romena. Nella foto si vedono con nitore venticinque lupi in marcia, uno dietro l’altro, sciolti e sicuri lungo un sentiero innevato. Al di sotto c’è una lunga didascalia firmata da Saverio Giambi, che non conosco ma non è questo il punto. Il punto è il contenuto della didascalia: “I primi 3 lupi sono quelli deboli e malati. Loro danno il ritmo alla camminata di tutto il branco. Se fosse stato il contrario, loro sarebbero rimasti ultimi e sarebbero morti. In caso di attacco loro sono i primi sacrificati. Questi creano il percorso nella neve, per far risparmiare energia a quelli che stanno dietro di loro. Sono seguìti da 5 lupi forti che formano l’avanguardia, invece al centro si trova la ricchezza del branco – 11 lupe. Successivamente gli altri 5 lupi formano la retroguardia. L’ultimo, quasi isolato dal branco, è il leader. Lui deve vedere bene tutto il gruppo per poter controllarlo, dirigerlo, coordinarlo dando i comandi necessari”.

     

     

    Ecco, allora, mi sono detto: proprio così marciavano i legionari, come mi hanno insegnato, e cioè con assoluta naturalezza, serena e marziale, pronti ad agire per lo scopo supremo e appunto per questo rilassati nel calmo possesso della propria funzione. Togliete le femmine di lupo e metteteci le salmerie, al posto degli ululati ascoltate bene il richiamo di corni e tube o conchiglie sonore, sostituite il maschio alfa con Caio Giulio Cesare e avrete sotto gli occhi un luminoso frammento delle guerre galliche: la Decima Legio in marcia verso i quartieri invernali. La natura non può sbagliare, ed è sempre innocente. L’uomo che voglia comandarla deve obbedire alle sue leggi, studiarle, imitarle e farle sue. Un vero capo sa tutto questo, osserva i sodali da lontano, semmai occupando addirittura l’ultima posizione, quella che gli stolti, i ciechi e gli illusi attribuiscono a volte agli sconfitti. Al momento opportuno, lui, il lupo alfa, saprà guidare la caccia selvaggia, il corteggio di Marte, lo scatenamento geometrico di una forza che non conosce paura, perché si fonda sul discernimento, sull’esperienza, sul rispetto per la natura delle cose.

     

    La furia incontrollata si addice ai barbari, perché è possessione vile, furto di senno, e prelude quasi sempre alla disfatta o alla carneficina senza onore. E’ assai raro che un lupo uccida più del necessario per sfamarsi. E così dovrebbe essere per gli umani in battaglia: mai infierire senza ragione. Ma dove sono, oggi, non dico i legionari ma anche solo gli umani in battaglia? Vedo soltanto macchine disanimate, animismi criminali sotto forma semiumana. Sicché la vera sfida è questa: divenire se stessi, mantenere il ricordo delle proprie origini, fortificare il proprio cuore e lì issare tenda e insegne. E come si fa? Si comincia imparando a marciare. Come i lupi.
     

    Ps. Ringrazio amici e lettori foglianti (da Luca Sofri del Post in giù) che hanno subito segnalato, più o meno indirettamente e con molto garbo (per esempio Carlo), il fatto che la foto in questione ritrarrebbe non lupi romeni, ma canadesi, e con una disposizione differente da quanto indicato nella didascalia da me riportata. Nell’essenza cambia poco (il senso della rubrica è su come marciano i lupi), ma un debito di verità impone la rettifica. Suggerisco però di mantenere una certa riserva anche sulle interpretazioni correnti, poiché la vita dei lupi conserva un che di misterioso anche a dire dei più noti specialisti. Il maschio o la femmina alfa non cedono mai ai personalismi tipici degli umani, possono stare in prima posizione o in coda a seconda delle necessità. E così anche i lupi meno in forma. Infine: un ringraziamento va perfino ai pochi estensori dei commenti invece rabidi, perché magnificano a contrario le virtù del lupo. (ag)