Steven Pinker

Assecondare l'industria del pessimismo aiuta a fertilizzare lo sfascismo

Claudio Cerasa

Gran saggio sull'ottimismo, da volantinare tra i giornalisti italiani

C’è un formidabile libro appena uscito in Inghilterra e negli Stati Uniti del quale i giornali italiani non potranno parlare facilmente perché sarebbero costretti a riconoscere quello che non possono ammettere: la proliferazione esponenziale della società del rancore non è il prodotto naturale di un mondo che giorno dopo giorno se la passa sempre peggio, ma è il prodotto naturale di un mondo che, pur passandosela sempre meglio, continua a raccontare a se stesso che le cose, signora mia, purtroppo vanno sempre peggio.

 

Il libro di cui i giornali italiani non potranno parlare facilmente si intitola “Enlightenment Now: The Case for Reason, Science, Humanism, and Progress”, ed è uno straordinario manifesto dell’ottimismo scritto da un grande psicologo evoluzionista americano di nome Steven Pinker. Al contrario di altri fantastici saggi anti pessimistici di cui abbiamo già parlato anche sul nostro giornale (uno su tutti il famoso “Homo Deus” di Yuval Noah Harari) Pinker non si limita a mettere insieme le ragioni per cui il mondo in cui viviamo funziona sempre meglio – con le persone che vivono sempre più a lungo, in modo sempre più sano, in modo sempre più sicuro, in modo sempre meno povero, in modo sempre meno diseguale. Fa qualcosa di più: con un efficace atto di accusa rivolto al sistema mediatico, spiega perché le pulsioni ribelliste derivano direttamente dalla costruzione di un’agenda politica squisitamente legata all’industria della percezione. “A prescindere dai dati capaci di certificare se il mondo stia davvero peggiorando – scrive Pinker – la natura delle notizie ci fa pensare che lo sia e l’errata percezione del rischio aumenta la nostra ansia, peggiora il nostro umore, moltiplica il nostro senso di impotenza, accresce la nostra ostilità verso gli altri”.

 

Il problema che si trova alla base di tutto questo, nota Pinker, è che i media tendono spesso a considerare una notizia solo ciò che coincide con una cattiva notizia e tendono per questo a ignorare spesso le buone notizie considerandole non degne di essere trattate. A piccole dosi, si tratta ovviamente di un processo naturale. A dosi continue, invece, si tratta di un processo volutamente distorsivo che può mettere a rischio la tenuta di un paese. Il perché Pinker lo spiega con un esempio utile e una teoria nota a chiunque abbia studiato anche solo per una mezza giornata i princìpi base della sociologia della comunicazione. In base al principio della “euristica della disponibilità”, ogni persona tende a stimare la probabilità di un evento basandosi più sull’impatto emotivo di un ricordo legato a quell’evento che sulla reale probabilità oggettiva che l’evento in questione si verifichi. Il rischio che qualcosa accada è dunque legato non a una valutazione oggettiva di quel fatto ma è legato alla disponibilità di una informazione e soprattutto di un’emozione nella propria memoria. Le emozioni che colpiscono di più, ovviamente, sono spesso quelle traumatiche e per capire come funziona il processo cognitivo Pinker cita il famoso esempio dell’aereo. Un incidente aereo riceve sempre una grande attenzione sui mass media e ha un forte impatto emotivo nella mente delle persone ed è per questo che ciascuno di noi tende a stimare erroneamente come più alta la probabilità di avere un incidente in aereo rispetto alla probabilità di averlo su altri mezzi di trasporto, nonostante le probabilità oggettive degli eventi siano l’opposto rispetto alla comune percezione del rischio. Lo stesso principio lo si può applicare a mille altri campi. Pensate alla criminalità, all’inquinamento, alla diseguaglianza, all’abuso di droghe, ai femminicidi, alla corruzione, alle carestie, ai disastri ambientali.

 

In una certa misura, il principio dell’euristica della disponibilità non è governabile, perché è il nostro cervello che funziona così. Ma proprio perché sappiamo che il nostro cervello funziona così, chi ha il compito di informare il mondo, oggi come non mai, dovrebbe essere consapevole che di fronte all’industria della percezione ci sono due possibili scelte di campo: rinunciare a combattere la dittatura dell’apocalitticamente corretto o provare a essere ottimisti per non farsi travolgere dal mondo percepito. In altre parole: essere o no complici di questo processo, sapendo che assecondare l’industria del pessimismo aiuta non a combattere ma a fertilizzare il terreno dello sfascismo. Non sappiamo voi, ma noi abbiamo già scelto da tempo da che parte stare. Buona lettura.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.