Le liberalizzazioni convengono. Parola di Cesare Beccaria

Marco Valerio Lo Prete

Quest'anno si festeggiano i 250 dell'opera "Dei delitti e delle pene" del giurista e filosofo milanese. Meno noto il fatto che Beccaria fu anche un economista di rango, secondo alcuni addirittura anticipatore di Adam Smith. E su come rilanciare l'economia aveva idee piuttosto attuali

    Oggi – come ogni lunedì mattina subito dopo le 9 – è andata in onda su Radio Radicale "Oikonomìa, alle radici del dibattito economico contemporaneo", mini rubrica in pillole. Di seguito il testo della puntata, qui invece l'audio. Sono ben accetti idee, consigli e critiche (scrivere a [email protected])

     

    Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel fine settimana ha detto che ciascuno degli “artigiani, imprenditori e lavoratori” italiani che “tutte le mattine si alza e prova a fare il suo mestiere” è “un eroe dei nostri tempi, un eroe della quotidianità”. Difficile sostenere il contrario: effettivamente l’Italia, fra tutti i Paesi industrializzati, è uno di quelli con i maggiori vincoli normativi, regolamentari e fiscali che gravano sulla normale libertà di fare impresa. A voler guardare il proverbiale “bicchiere mezzo pieno”, si può dire che perfino oggi, in un’epoca caratterizzata da spazi di manovra minimi per la politica fiscale e da una politica monetaria centralizzata a livello europeo, non mancano dunque le possibilità per rilanciare di molto la crescita italiana eliminando tali vincoli grazie alle cosiddette “liberalizzazioni”.

     

    Liberalizzazioni che spesso, nel dibattito pubblico, vengono denigrate addirittura come aliene alla nostra cultura. Una roba da Margaret Thatcher, per intenderci. In realtà gli scritti e l’operato di uno dei più grandi pensatori italiani, Cesare Beccaria, consigliano di rivalutare – perfino culturalmente – questa opzione di politica economica. Beccaria è ricordato e studiato in tutto il mondo come uno dei più validi esponenti dell’Illuminismo. La sua opera più famosa, “Dei delitti e delle pene”, del 1764, contiene intuizioni ancora valide sulla giustizia e lo Stato di diritto in generale, sul processo penale, sulla tortura e sulla pena di morte. Quel che è meno noto è che Beccaria fu anche un pensatore economico, come ricostruisce con giusta enfasi Carlo Scognamiglio Pasini in una recente biografia (“L’arte della ricchezza”, Mondadori). Il giurista milanese, infatti, anticipò perfino il padre fondatore dell’economia politica, Adam Smith, sostenendo che la fonte della ricchezza di un Paese erano il lavoro umano e gli strumenti che ne aumentano la produttività, non le risorse naturali o l’agricoltura come volevano le vulgate mercantilistiche o fisiocratiche del tempo. Beccaria non fu solo un economista teorico. Sotto il dominio degli Asburgo, ricoprì a Milano incarichi amministrativi e di governo nell’ultimo quarto del diciottesimo secolo, sopprimendo a un certo punto le circa cinquanta corporazioni delle arti e dei mestieri che dominavano l’economia lombarda. In questo modo ridusse il potere di corporazioni che allora regolavano i prezzi mantenendoli più alti del dovuto, impedivano la concorrenza fra maestranze di città diverse, vietavano a suon di condanne penali la diffusione di informazioni sugli avanzamenti tecnologici, restringevano l’accesso alle professioni. Il superamento radicale di questi e altri vincoli che Beccaria prese di mira, secondo Scognamiglio Pasini, fu propedeutico al successivo decollo economico-industriale della Lombardia.

     

    Ma a che punto è oggi l’Italia sul fronte delle liberalizzazioni? L’Istituto Bruno Leoni da anni tenta di misurare il grado di apertura alla concorrenza dei principali settori dell’economia. Quest’anno, nel suo Indice appena pubblicato, il think tank ha concluso che tra i 15 Stati che costituiscono il nucleo storico dell’Unione europea, l’Italia occupa l’undicesima posizione, a pari merito con Francia e Danimarca, in quanto a tasso di liberalizzazione. Al primo posto c’è il Regno Unito, al quindicesimo e ultimo la Grecia. Non mancherebbero dunque le possibilità, anche per l’attuale Governo, di rimuovere gli ostacoli all’ingresso dei singoli mercati, poi quelli che pesano sull’esercizio dell’attività imprenditoriale e infine quelli che ostruiscono l’uscita da un mercato. Non crescerebbero soltanto innovazione ed efficienza, ma anche le possibilità per i consumatori di scegliere davvero i fornitori più convenienti.

     

    Un caso esemplare è quello approfondito nello stesso Indice da Serena Sileoni riguardo il commercio al dettaglio. Quella degli orari e dei giorni di apertura dei negozi è forse l’unica liberalizzazione significativa realizzata in Italia dall’inizio della crisi a oggi. Dopo un processo avviato addirittura nel 1998, da circa due anni i commercianti possono finalmente decidere in piena autonomia quando aprire alla clientela, giorni festivi inclusi. Rischiamo però di non avere nemmeno il tempo di vederne gli effetti, che secondo alcuni sarebbero positivi anche in termini di occupazione negli esercizi commerciali, e secondo quasi tutti consentirebbero di accrescere quantità e qualità dei consumi. La Camera infatti ha già approvato una norma che ristabilisce dodici chiusure obbligatorie durante l’anno, nuovi poteri comunali sugli orari dei negozi, e infine una forma di programmazione regionale di finanziamenti pubblici ai piccoli esercenti. Il legislatore nel 2011-2012 riconobbe una libertà in più, quella di apertura; adesso invece lo stesso legislatore – per ragioni di malintesa “tutela” dei piccoli esercizi esistenti – impone a tutti un obbligo, quello di chiusura.

     

    Sventurato il Paese che ha bisogno di eroi, dice il Galileo Galilei di Bertold Brecht. Figurarsi il Paese in cui a ogni singolo lavoratore, imprenditore, e perfino consumatore, viene chiesto di trasformarsi in eroe anche solo per sopravvivere e arricchirsi.

     

    Qui le puntate precedenti:
     

    Le mosse anti deflazione di Draghi nelle intuizioni di Irving Fisher

     

    Ernesto Rossi, la governante di Calamandrei e l'Articolo 18

     

    Joseph Stiglitz, il sovraffollamento delle carceri e il profitto "costituzionale"

     

    L'Europa, l'economia sociale di mercato che piace a Merkel e qualche aporìa

     

    La concertazione, questione di (scarsa) competitività e democrazia, dice il Nobel Phelps

     

    Henry Ford, la contrattazione aziendale e il modello tedesco di "produttività"

     

    La Legge di Wagner e l'idea pazza che le Regioni non possano ridurre la spesa

     

    Non è questione di decimali. Tocqueville e la crisi dell'euro vista dall'America

     

    La premonizione "giapponese" di Bernanke e l'arma del Quantitative easing

     

    Tutti quei balzelli sui risparmi nella Legge di stabilità e la "repressione finanziaria"

     

    Renzi, quel problemino chiamato "recessione" e il pressing del G20

     

    Ecco come Renzi ha convinto l'Europa (c'entra "l'illusione finanziaria")