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epopea francese

Eroi per sempre. La Francia si riappropria dei “Tre moschettieri”

Maurizio Stefanini

Con il nuovo film del regista Martin Bourboulon, ritorna in patria la grande epica di Dumas. Dopo anni in cui il cinema d’oltralpe la snobbava 

I tre moschettieri, che ora tornano al cinema per la regia di Martin Bourboulon, erano quattro e non portavano moschetti, però sono esistiti davvero. E forse la Maschera di ferro era D’Artagnan. Soprattutto, però, sono forse la storia in assoluto con più adattamenti per il grande schermo. Anche se, altro paradosso, questa saga così tipicamente francese è stata trasposta soprattutto in altre lingue, e qua è una doppia chiave il numero 60. Sono infatti almeno una sessantina i film tratti dalla trilogia iniziata da Alexandre Dumas padre a partire dal 1844, a puntate sul giornale Le Siècle secondo la tecnica allora imperante del romanzo d’appendice. “Vent’anni dopo” venne poi in realtà un anno dopo “Les Trois Mousquetaires”, e “Il visconte di Bragelonne” nel 1850. Ma è anche una sessantina di anni che non se ne faceva una versione in Francia.

La pellicola più antica rimasta, peraltro, fu fatta proprio in Italia, nel 1909: un film muto di 18 minuti, per la regia di Mario Caserini. Si sa che c’era stata prima ancora una versione francese del 1903, ma  non è stata conservata. Le più famose sono comunque in inglese. Quella del 1921 con Douglas Fairbanks: la più importante dell’epoca del cinema muto. Il musical parodistico del 1939. “The Three Musketeers” del 1948, con Van Heflin, Lana Turner, June Allyson, Angela Lansbury, Vincent Price e Gene Kelly, che fu la prima trasposizione importante a colori, ed ebbe l’Oscar per la fotografia. “The Three Musketeers” del 1973, per la regia di Richard Lester, il cui cast fu forse il più spettacolare: Oliver Reed, Frank Finlay, Richard Chamberlain, Michael York, Raquel Welch, Geraldine Chaplin, Jean-Pierre Cassel, Charlton Heston, Faye Dunaway, Christopher Lee, Simon Ward, Georges Wilson, Spike Milligan. Considerato anche come la versione più picaresca e realista, ebbe nel 1989 un sequel con gli stessi interpreti. “The Three Musketeers” del 1993 è della Disney, cui si devono anche una versione a cartoni animati del 1936 e una del 2004 conosciuta in italiano come “Topolino, Paperino, Pippo: I tre moschettieri”. Ma a cartoni ci sono anche un film di Mister Magoo, due di Hanna e Barbera, due anime giapponesi, una serie francese, una versione fatta al computer e perfino una “Barbie e le tre moschettiere”.

C’è poi un “The Musketeer” del 2003 con Catherine Deneuve,  che ebbe successo  negli Usa ma fu cassato nel resto del mondo. E il “The Three Musketeers” steampunk del 2011, con Matthew Macfadyen, Logan Lerman, Ray Stevenson, Milla Jovovich, Luke Evans, Mads Mikkelsen, Orlando Bloom e Christoph Waltz, dove i moschettieri a Venezia si impadroniscono di una macchina da guerra volante inventata da Leonardo da Vinci. Non dai “Tre Moschettieri” ma dal “Visconte di Bragelonne” è “La maschera di ferro” del 1998, con molte libertà ma se non altro memorabile per un cast con Leonardo DiCaprio nel doppio ruolo di Luigi XIV e del gemello prigioniero, Jeremy Irons come Aramis, John Malkovich come Athos, Gérard Depardieu come Porthos e Gabriel Byrne, D’Artagnan. Ma c’è pure la tv. Con ad esempio ben tre della Bbc, e due famose parodie musicali italiane: quella Rai del Quartetto Cetra del 1964 e quella di Canale 5 del 1991. In italiano ci sono ad esempio anche i due film di Giovanni Veronesi del 2018 e 2020, in cui un ragazzino leggendo il libro dà ai protagonisti i volti della propria famiglia disfunzionale, ma alla fine vede i moschettieri irrompere nella realtà a dargli una mano. E “I Quattro Moschettieri” trasmessi alla radio dall’Eiar tra 1934 e 1937, cui fu collegato un concorso che fece nascere in Italia la febbre delle figurine.  

C’è perfino un musical sovietico del 1978, seguito da un’altra trasposizione russa del 2013. Ma, poiché “La Fille de d’Artagnan” del 1993 con Sophie Marceau riprende i personaggi di Dumas per una storia originale e il film del 1974 conosciuto in Italia come “Più matti di prima al servizio della regina” è una parodia, bisogna tornare al 1961 per l’ultimo “Tre moschettieri” francesi:  “Les Trois Mousquetaires” di Bernard Borderie con Gérard Barray, Mylène Demongeot, Georges Descrières, Bernard Woringer, Jacques Toja, Daniel Sorano e Guy Delorme. 

“Les Trois Mousquetaires; D’Artagnan” – nei cinema in Francia dal 5 aprile e in Italia dal 6 aprile, in pieno stile Dumas prima puntata girata assieme a un “Les Trois Mousquetaires: Milady” che uscirà il 13 dicembre e che in caso di successo potrebbe essere seguito dal resto della trilogia – è dunque un esplicito tentativo di rinazionalizzare un tesoro che ha girato soprattutto all’estero, in particolare attraverso un super-cast tutto francese. François Civil fa D’Artagnan, Vincent Cassel Athos, Pio Marmaï Porthos, Romain Duris Aramis, Eva Green Milady de Winter, Louis Garrel Louis XIII, Lyna Khouadri Constance Bonacieux, e giusto la lussemburghese Vicky Krieps come Anna d’Austria, e il britannico Jacob Fortune-Lloyd come Duca di Buckingham: ma quelli erano stranieri già in origine.

Il regista Martin Bourboulon dice di essersi ispirato in particolare a quattro film: il “Cyrano de Bergerac” del 1990 con Gérard Depardieu, che effettivamente è ambientato nella stessa epoca; “La regina Margot” del 1994, che è ambientato il secolo prima, ma ha una ambientazione fastosa e pure era tratto da un romanzo di Dumas; “I duellanti” di Ridley Scott del 1977, che invece è ambientato due secoli dopo ma effettivamente è un punto di riferimento per le scene di scherma; e “I predatori dell’arca perduta”, che in teoria dovrebbe entrarci come i proverbiali cavoli a merenda, ma evidentemente è sempre una lezione di spettacolo. Ma Cassel, ad esempio, sembra essersi ispirato soprattutto all’Athos di Van Heflin del film del 1948. 

Il vestiario realista e meno elegante degli stereotipi hollywoodiani, come la Parigi sporca, pur senza turbare la spettacolarità, fanno in compenso molto Scuola delle Annales, e dunque francesizzano. Le protagoniste con profilo marcatamente femminista, Porthos bisessuale, una Constance di origine algerina e un moschettiere nero nella seconda parte sembrano invece contagio woke dagli Usa, ma in fondo lo stesso  Dumas aveva avuto una nonna schiava nera, con cui il nonno marchese e piantatore a Haiti aveva generato suo padre: il generale di Napoleone Thomas Alexandre Davy de la Pailleterie, a sua volta uno spadaccino e personaggio da romanzo. “Sì, mio padre era mulatto, mia nonna nera e la mia bisnonna scimmia. Come vedete, il mio albero genealogico inizia dove finisce il vostro”, fu una sua famosa risposta a un importuno che gli aveva fatto una domanda in tono razzista. 

Questo clima di cinema francese che cerca di tornare alle epopee nazionali è d’altronde confermato da “Jeanne du Barry”: altro colossal in costume la cui prima sarà il 16 maggio 2023 all’apertura della 76ª edizione del Festival di Cannes, che andrà su Netflix, e che vede il divo statunitense ma ben acclimatato in Francia Johnny Depp fare il “re beneamato” Luigi XV, accanto a Maïwenn. Popstar con origini bretoni, piccarde, vietnamite e algerine che fa la famosa amante del sovrano ascesa dalla strada a Versailles, e poi finita sulla ghigliottina, in un film da lei non solo interpretato ma anche prodotto, diretto e sceneggiato. Anche ciò, se vogliamo, fa molto Re Sole, Napoleone o De Gaulle. 

Ma, appunto, scritta tra la fine della monarchia orleanista, la seconda repubblica e il secondo impero, la trilogia dei moschettieri riportava in vita quella Francia che nel ’600 fu la più grande potenza d’Europa a partire dal corpo iconico dei moschettieri, il cui nome veniva da un’arma nata a metà del secolo XVI come perfezionamento dell’archibugio. In particolare, l’adozione del calcio permetteva di appoggiare l’arma sulla spalla invece che sul petto, con possibilità di tiro più preciso. All’inizio i moschettieri prendono appunto il posto dei moschettieri in quegli schieramenti misti con picchieri, la cui grande epopea fu quella dei tercios spagnoli. Ma col tempo si svilupparono reparti con sempre più moschettieri, addestrati a sviluppare un fuoco continuo attraverso un adattamento del sistema di ordine chiuso già tipico della falange macedone e della legione romana all’esigenza di ricaricare e sparare per linee successive. Finché a inizio ’700 l’invenzione della baionetta permise a ogni fante di essere moschettiere e picchiere allo stesso tempo.

Ma prima che questa evoluzione si compia, nel 1622 re Luigi XIII decide di dotare anche la sua guardia del corpo di moschetti, come segno di aggiornamento tecnologico. Solo che si tratta di soldati a cavallo, per i quali il moschetto sarebbe scomodo durante i compiti abituali di scorta, guardia e polizia urbana. Al massimo dunque lo utilizzano in guerra, mentre più normalmente usano spade e pistole, esattamente come li mostra Dumas. Soprattutto spade, visto che per far parte del corpo bisogna essere nobili, e l’aristocrazia si tramanda ancora i valori della cavalleria feudale. Moschettieri diventa dunque in Francia un titolo soprattutto onorifico e simbolico: un po’ come quei “granatieri” che in origine sono prescelti tra i soldati più prestanti appunto per poter tirare le granate più lontano, e poi quando l’uso delle bombe a mano si diffonde mantengono comunque il nome come cifra di reparti con gente più alta della media.

Anche il ministro Richelieu si fece una guardia di moschettieri, con divisa di colore diverso. Appunto, la rivalità tra moschettieri del re e guardie del cardinale è una delle chiavi del romanzo. Al contempo, i moschettieri erano anche un’accademia in cui addestrare gli ufficiali che poi avrebbero comandato l’esercito. Già implicita prima, la cosa è formalizzata dal Re Sole, che obbliga tutti i giovani aristocratici a fare i moschettieri per un anno. 

Tra questi “coscritti” ce ne era anche uno la cui vocazione era però quella del letterato, e il cui nome era Gatien de Courtilz de Sandras. Finito il servizio, scrisse appunto la biografia di un suo commilitone nato nel 1611 e morto nel 1673  durante l’assedio di Maastricht, nella guerra franco-olandese: il nobile guascone Charles de Batz-Castelmore, conte di Artagnan. Dumas scoprì queste “Mémoires de Monsieur D’Artagnan” alla Biblioteca Nazionale, se ne innamorò, le saccheggiò, e ci costruì la sua epopea. Assieme a altri scritti su altri personaggi che pure avevano servito nei Moschettieri ed erano realmente esistiti: ma tale è l’effetto della prosa di Dumas, che al lettore viene da pensare che anch’essi siano inventati.  

Invece, Armand de Sillègue d’Athos d’Hauteville visse davvero, tra 1615 e 1645; Isaac de Portau era nato nel 1617, e non si sa la data di morte; Henri d’Aramitz era nato nel 1620, e morì non si sa se nel 1655 o nel 1674. Erano dunque tutti e tre più giovani di D’Artagnan, all’opposto di quanto racconta Dumas. E non si sa se si conobbero, anche se per lo meno un incrociarsi è presumibile. Personaggio davvero esistito è pure la Maschera di ferro: uno strano prigioniero che rimase con il volto nascosto dietro detta maschera, senza mai far conoscere la sua identità, fino alla morte alla Bastiglia. Fu Voltaire a rivelarne l’esistenza, dopo essere passato anche lui per la Bastiglia. Raccontò che nonostante indossasse sempre la mascherina si sapeva che era giovane e di bell’aspetto e riceveva trattamento adeguato, ben nutrito e vestito. Ma aveva contatti solo con un carceriere sordo e con l’ufficiale giudiziario. La leggenda ipotizzò dunque che non fosse stato ucciso a causa della sua nascita o per servizi resi alla Corona, e che la sua identità fosse stata nascosta perché aveva accesso a importanti segreti di stato. 

Fu Voltaire a ipotizzare che potesse trattarsi del fratello gemello o di un fratellastro di Luigi XIV, la cui esistenza sarebbe stata occultata per evitare contestazioni dinastiche: ipotesi appunto ripresa nel terzo libro della trilogia di Dumas, ma in realtà improbabile per il rigido protocollo che rendeva eventi pubblici le gravidanze e i parti della regina. Tesi alternative hanno riguardato un possibile figlio illegittimo del Re Sole, o al contrario il suo padre naturale. Servito a far nascere i due eredi di Anna d’Austria dopo 23 anni di matrimonio, con forti sospetti di omosessualità del sovrano. Alla fine del XIX secolo, dopo aver decifrato i cifrari segreti del regno di Luigi XIV si concluse che piuttosto il prigioniero potesse essere il generale Vivien de Bulonde, punito per la codardia mostrata in battaglia.

Ma nel 2005 il giornalista e storico britannico Roger Macdonald, nel libro “The Man in the Iron Mask”, non solo cercò di dimostrare che gran parte delle vicende narrate da Dumas furono in realtà storiche, ma ipotizzò che la vera Maschera di ferro sia stato lo stesso D’Artagnan. Non morto a Maastricht ma gravemente ferito: se ne sarebbe approfittato per farlo sparire dalla circolazione, in modo da tacitare per sempre scomodi segreti in suo possesso. Macdonald non sa dire con sicurezza quali, ma fa una lista di ipotesi, appunto a partire dalla presunta omosessualità di Luigi XIII. Aggiunge comunque che il famoso moschettiere durante la sua vita militare si era fatto un bel po’ di nemici, per cui la notizia che era sopravvissuto avrebbe a tal punto contrariato alcune alte sfere da spingerle a toglierlo di mezzo comunque, con modalità alternativa. Del tutto non ci sono però prove. Macdonald si limita a ipotizzare che l’opera di Gatien de Courtilz de Sandras sarebbe così dettagliata perché scritta condividendo con D’Artagnan-Maschera di ferro una cella alla Bastiglia.

Ma qua, se vogliamo, ci sarebbe già materiale per una quarta puntata, che forse potrebbe essere un nuovo film. I moschettieri, comunque, persero prestigio con le sconfitte continue della Francia nel XVIII secolo, da cui emerse l’esigenza di selezionare gli ufficiali in nuove scuole, formati alla matematica e alla tecnologia più che nei valori cavallereschi. Così, effettivamente, venne fuori lo stesso Napoleone. Nel 1776 il ministro Necker, impegnato in un tentativo titanico di rimettere in sesto i bilanci, incluse anche i moschettieri nei suoi tagli.   

Li ristabilì Luigi XVIII nel 1814 con la Restaurazione, appunto come simbolo di ritorno all’Ancien Régime. Ma dopo due anni anche lui si rese conto che erano una spesa inutile, e li soppresse definitivamente. In tempo però, forse, per poter iniziare a dare al 14enne Dumas lo spunto su cui si continuano a fare film. Tutti per uno, uno per tutti… Alexandre Dumas padre, come è noto, ebbe poi Alexandre Dumas figlio, autore di quella “Signora delle Camelie” da cui Giuseppe Verdi trasse “La Traviata”.. E una delle sue figlie, Marie-Alexandrine-Henriette Dumas, avrà Alexandre Lippmann: vissuto tra 1881 e 1960, vincitore di due medaglie d’oro, due d’argento e una di bronzo alle Olimpiadi del 1908, 1920 e 1924. Proprio nella disciplina della spada, grande protagonista dei romanzi del suo bisnonno e delle vicende del trisavolo.

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